E tutt’intorno il disastro perfetto: treni maleodoranti e sporchi soppressi senza preavviso, ritardi su ritardi, appuntamenti di lavoro che saltano, pendolari e turisti trattati come bestie. E 260 dipendenti in esubero che rischiano il posto.
In provincia di Napoli i trasporti, dissanguati dai tagli, sono una ferita che svela ogni giorno nuovi focolai di cancrena, ma l’indecenza raggiunta dalla Circum ha superato da tempo i livelli di guardia: dopo anni di annunci le chiacchiere restano a zero, e sinceramente cadono le braccia a ripetere ogni estate le stesse denunce, ossessivamente, fino allo sfinimento.
Dei nuovi convogli non v’è ancora traccia mentre quelli più vecchi (età media: 18 anni) si bloccano in continuazione e sono del tutto inadeguati - come dimostra l’inchiesta del Mattino - per il servizio che dovrebbero offrire.
I passeggeri sono ostaggio di teppisti che la fanno franca sempre e comunque e a fronte di una microdelinquenza così polverizzata e tracotante serve davvero a poco invocare ogni volta l’esercito, quasi fosse la panacea di tutti i mali: basterebbe adeguare la reazione dei poteri di contrasto al livello della sfida delle babygang e garantire un presidio agli ingressi per impedire a chi è senza biglietto di salire sul treno indisturbato.
Le responsabilità dell’Eav, poi, sono evidenti e gravissime: la manutenzione è ferma e, il più delle volte, all’azienda non resta che rottamare i treni guasti (o vandalizzati) per utilizzare ricambi già vecchi e usurati. Da dove ripartire? Vorremmo un segnale, uno solo. Ma davanti al cadavere della Circum sembra che tutte le mani siano legate.
E troppo spesso si dimentica che la rendita delle bellezze artistiche e paesaggistiche non dura in eterno. Arte e natura, senza servizi efficienti, non bastano a trattenere i visitatori (il nostro petrolio) né a convincerli a ritornare in Campania.
Può bastare invece un finestrino in frantumi, e un branco di balordi in fuga, a vanificare anni di spot e politiche per il turismo.
Di fronte a un disastro di tale portata, non vogliamo più ascoltare né chiacchiere né promesse.