Un popolo che resiste e i dubbi dell'Europa

di Bruno Vespa
Sabato 30 Aprile 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:52
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Oltre due milioni di persone hanno assistito a mezzanotte di giovedì al disperato appello lanciato in lacrime dallo studio di ‘Porta a porta’ all’Italia e al mondo dalla moglie del comandante del reggimento Azov e da altre tre mogli e fidanzate di combattenti bloccati nell’acciaieria di Mariupol.

Il messaggio era chiaro: aiutateci perché i nostri uomini non si arrenderanno mai. L’Ucraina non si arrenderà mai e non è in vista nessuna tregua che lasci immaginare la pur minima cessione di territorio. D’altra parte, la conferma data ieri da Zelensky a ‘Time’ che i russi volevano ammazzarlo nelle prime ore dell’invasione dimostra due cose. Uno. Putin non voleva soltanto il Donbass e il riconoscimento della Crimea. Voleva assassinare il capo di uno stato democratico per sostituirlo con un governo amico. Due. Nonostante questo, Zelensky ha rifiutato il salvacondotto americano per fare un governo in esilio e da più di due mesi guida da Kiev una resistenza che ha pochi precedenti nella storia moderna.

La guerra ha mutato ancora aspetto nel giro di due giorni per iniziativa di entrambe le parti. Nella base Nato di Ramstein in Germania 40 Paesi hanno promesso di andare oltre l’aiuto – pure decisivo – all’Ucraina per rendere Putin ‘inoffensivo’. E Putin ha salutato la novità spedendo missili al centro di Kiev a pochi passi da dove stava il segretario generale dell’Onu Gutierrez. Non siamo sicuri che tutti i 40 rientrando a casa siano davvero pronti ad accettare senza riserve la nuova dottrina Biden.

Come ha scritto ieri sulla ‘Suddeutsche Zeitung” il filosofo Jurgen Habermas (92 anni, ultimo esponente della Scuola di Francoforte che definì “un dolce colpo di Stato” la caduta di Berlusconi nel 2011) “aiutare l’Ucraina è un dovere, voler battere Putin è un azzardo”. A meno che la Nato e i suoi nuovi amici non abbiamo deciso come neutralizzare preventivamente la reazione nucleare di un uomo disperato. 

Gli esperti dicono che ci vorranno 4/5 settimane per capire l’andamento di questa nuova fase, che allo stato vede i russi in vantaggio. Ma come ha detto una delle donne dei combattenti di Azov a “Porta a porta”, «non stiamo assistendo dagli spalti a un derby: qui è in gioco la democrazia e la libertà stessa di un pezzo d’Europa ben più largo dell’Ucraina». 
Il regalo più grosso che l’Occidente possa fare a Putin è dividersi. E noi? Siamo in una posizione curiosa. Dall’opposizione, una Giorgia Meloni iper atlantica ieri a Milano si è detta pronta ad essere la prima a indicare la rotta nell’attuale tempesta. Nella maggioranza, Salvini è roso dai dubbi sulle conseguenze dell’invio di armi e il vice presidente del M5S Ricciardi ha detto a “Porta a porta” che va bene inviare carri armati a Kiev, a patto che facciano la guardia alle scuole…

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