Se va presa sul serio la minaccia nucleare

di Carmine Pinto
Domenica 5 Febbraio 2023, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Medvedev urla forte. Il numero due del consiglio di sicurezza russo ha minacciato l’uso di armi nucleari. Sulle motivazioni, niente di nuovo. Accuse all’Occidente di armare il nemico e agli ucraini di attaccare il territorio russo. La linea politica è in perfetta coerenza con quella neo-staliniana di Putin. Il presidente russo da qualche settimana ha scelto di rinnovare il mito della Grande guerra patriottica, celebrando Stalingrado e riprovando a dipingere l’invasione dell’Ucraina come l’estrema difesa della Russia e del suo popolo dagli aggressori stranieri. 

Non è difficile così incastrare le parole di Medvedev nella sua strategia. I russi hanno mancato l’Operazione militare speciale, la rapida conquista dell’Ucraina e tutte le offensive successive, fino alla disastrosa ritirata dell’autunno. C’è anche una discreta convergenza degli analisti nel valutare in almeno duecentomila unità le perdite dell’esercito di Putin. Situazione aggravata dalle sistematiche crisi di comando, con le faide interne e il perverso protagonismo dei gruppi imprenditoriali-mercenari di Wagner e dei ceceni. Forse non l’ultima tra le motivazioni dell’incredibile e sorprendente invio, come comandante sul campo, niente di meno che del capo di stato maggiore Gerasimov. Scelta inconcepibile per qualsiasi esercito dell’età moderna.

Putin, evidentemente, vuole tentare il tutto per tutto. Gli ucraini parlano di uno schieramento di mezzo milione di uomini, sicuramente meglio organizzato e più ragionato delle offensive del 2022. Lo si è visto nel macello di questi giorni. Eppure, si percepiscono dubbi e preoccupazioni. La più grave riguarda le artiglierie e i sistemi missilistici occidentali, restati fino ad ora intatti rispetto alle contro misure russe. Senza contare il prossimo arrivo un avanzato pacchetto di aiuti, funzionale proprio a rafforzare le forze ucraine in vista dell’annunciata grande battaglia d’inverno. 

E Medvedev minaccia l’uso del nucleare, come già almeno una dozzina di volte, dai primi giorni di guerra. Per ora, pochi ci credono. Al di là delle distinzioni tra uso di armi nucleari tattiche o strategiche, su cui si discute dall’inizio del conflitto, gli esperti per ora pensano agli scenari possibili. Il primo, l’uso sul campo di battaglia, è considerato inutile sia per le conseguenze militari che per quelle sugli stessi soldati russi. Le altre ipotesi, un attacco dimostrativo su un centro abitato o quello strategico sulla capitale, determinerebbero conseguenze devastanti per i russi. Infatti, come si è ribadito ad ogni occasione, costringerebbero l’alleanza delle democrazie mondiali a cambiare in termini definitivi la qualità e la scala del proprio intervento, diretto ed indiretto, a favore di Kiev. 

E in nessuno due casi, spezzerebbe la volontà ucraina di resistere all’invasore.

Ci sono però elementi e dati ancora più concreti, esplicitati dai più attenti sul campo, americani ed inglesi. Questi non si limitano a spiegare che, mai come oggi, all’arsenale nucleare russo mancano le numerose componenti tecnologiche occidentali, funzionali alla sua manutenzione e al suo utilizzo. Soprattutto, chiariscono che, per schierare le armi atomiche, serve una mobilitazione su strutture permanentemente controllate ed osservate dagli occidentali. E per non ne annunciano nessuna traccia.

Invece, le dichiarazioni di Medvedev sembrano una rabbiosa ma forse debole risposta ai due potenti atti che l’alleanza occidentale ha marcato in vista dell’offensiva russa. Il primo, porta la firma della Nato e del suo segretario generale, Jens Stoltenberg. In un importante discorso tenuto in una università giapponese ha chiarito come l’organizzazione atlantica inquadra l’agenda globale: la guerra in Ucraina si vince sul campo, bisogna fare di tutto per aiutare gli ucraini, la realtà è che per Putin i negoziati non esistono. Non meno importante, la Nato diventa globale con i partner dell’area Indo-Pacifica: le democrazie sono consapevoli che la sfida di Russia e Cina è sistemica, di valori e di potere. L’ordine liberale questa volta si difende e rilancia come mai.

Altrettanto importante è stato lo sbarco in blocco a Kiev, del presidente europeo Ursula von der Leyer e di ben quindici commissari dell’unione. Sugli atti promessi, il quadro è chiaro: nuove sanzioni ai russi, altri aiuti militari, sostegno alle imprese ucraine e integrazione di mercato europeo. Eppure, per Medvedev c’è qualche cosa che suona ancora più cupo. La von der Leyer è stata esplicita nell’elencare i crimini di guerra russi: massacri di massa e selettivi, stupri e sequestri, deportazioni forzate di civili e sparizioni di bambini, saccheggi e distruzioni da eserciti della guerra dei Trent’anni. In sintesi, niente impunità per gli autori. Insomma Medvev minaccia, ma per ora sembrano urla alla luna, forse capisce che più si va avanti è più non c’è possibilità di una via di uscita. E lo ha detto anche il vecchio Henry Kissenger, che nei mesi passati era diventato incredibilmente l’idolo di putiniani e neo-pacifisti. Deludendo loro, e forse ancora di più Medvedev, ha decretato che lo scenario si è definito, ed è tempo che anche Kiev stia nella Nato. 

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