Quelli che scambiano ​la giustizia con l'abuso

di Adolfo Scotto di Luzio
Domenica 21 Febbraio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 08:00
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Un gruppo di persone napoletane famose, per lo più provenienti dal mondo dello spettacolo (ma non mancano magistrati e avvocati), e tra queste i nomi di Maurizio de Giovanni, Antonio Capuano, Maurizio Braucci, il cantante Luca Persico, hanno firmato una petizione che ha già raccolto più di mille adesioni tra gli abitanti del quartiere Montecalvario. Chiedono che non venga rimossa l’immagine del giovane Ugo Russo, il ragazzo di quindici anni ucciso da un carabiniere proprio un anno fa in un tentativo di rapina finito nel sangue.

Quando la notizia della morte dell’adolescente si diffuse, nella notte tra il 29 febbraio e il primo marzo del 2020, decine di persone assaltarono il pronto soccorso dell’ospedale Pellegrini, devastandolo. La struttura rimase chiusa per moltissime ore e solo nel tardo pomeriggio dell’indomani poté ripartire. Erano i giorni in cui tutta l’Italia era sotto shock per la velocità con cui il Covid si diffondeva e gli ospedali stavano allora come oggi sul fronte più avanzato dell’emergenza sanitaria. Durante il raid, una donna di trentanove anni, madre di tre figli, il più grande di 16 anni, il più piccolo di sette, pestata a sangue dal compagno, moriva proprio mentre i medici dell’ospedale nel cuore di Napoli dovevano fronteggiare l’aggressione della folla inferocita. Gli stessi genitori della donna furono malmenati. Poche ore dopo, due ragazzi, tra i quali un cugino di Ugo Russo, raggiunsero in moto la caserma Pastrengo sparando vari colpi di arma da fuoco contro la sede del comando provinciale dell’arma. Oggi, i familiari chiedono “verità e giustizia”. Difendono il murale perché non cali l’attenzione pubblica sulla vicenda del giovane ucciso. 

Chiedono anche vere opportunità per i ragazzi dei quartieri difficili di Napoli. Le persone famose di cui sopra si sono associate alla richiesta. Mi domando però se prima di apporre la loro firma si siano anche posti il problema, tutt’altro che secondario in quel contesto, della libertà con la quale gli abitanti del quartiere hanno aderito all’iniziativa. È lecito al riguardo nutrire più di un dubbio. 

La questione dei murales degli altarini votivi eretti a celebrare la vita criminale in molte strade e vicoli della città è stata sollevata dal prefetto di Napoli, Marco Valentini proprio dalle pagine di questo giornale, nonché dal procuratore generale Luigi Riello. Nelle scorse settimane, con uno strato di vernice bianca, è stato coperto il volto di un altro adolescente ucciso in un tentativo di rapina, Luigi Caiafa. Le stesse regole non sembrano valere nel caso di Ugo Russo. Nel testo della petizione si parla di provvedimento antidemocratico e di censura. Il presidente del Consiglio comunale di Napoli dal canto suo, Alessandro Fucito, intima al Prefetto di pensare al suo lavoro e di lasciar perdere i murales.

Censura, provvedimento antidemocratico, sono parole mal riposte e usate con una buona dose di imperizia argomentativa, ma conta sicuramente il fatto che mentre il volto del giovane Caiafa era di mano anonima, qui c’è la firma di una “street artist”, che compare tra l’altro tra quanti hanno aderito alla petizione, e che si presume possa contare su legami di solidarietà intellettuale che spiegano l’ampia mobilitazione colta a favore della non cancellazione del ritratto.

Sulla vicenda di Ugo Russo è aperto un procedimento penale ai danni del carabiniere che ha sparato. Si capisce, allora, che si cerchi di impedire che la vicenda entri in un cono d’ombra. La questione è poi tanto più delicata perché il ragazzo è stato ucciso da un uomo dello Stato, un carabiniere, dal rappresentante cioè di una forza che messa di fronte alla fragilità della vita individuale appare “incommensurabile”. C’è poi un’altra questione. Il valore della testimonianza civile dell’uomo di cultura si misura su un terreno tutto speciale. È facile schierarsi dalla parte dei buoni. È la causa degli “indegni” invece a meritare battaglia, Caino e non Abele. Sono le persone coperte dallo stigma dell’ignominia che hanno bisogno di qualcuno che si schieri dalla loro parte, perché anche ad essi sia garantita verità e giustizia.
Ma qui si pone un problema come suol dirsi dirimente, e sorprende che degli intellettuali, che pure dovrebbero essere abituati a lavorare con gli strumenti della ragione non vi si siano soffermati (tra questi ripeto ci sono uomini di diritto e addetti alla produzione culturale di massa come Maurizio de Giovanni, che pure nei suoi lavori sembra volersi interrogare sul senso della giustizia).

Sorprende, dicevo, che nessuno di costoro abbia riflettuto sulla differenza tra la questione del garantismo e quella dei murales. Un conto infatti è che la famiglia di Ugo Russo abbia un giusto processo, un conto è la contesa per il dominio dello spazio pubblico. Nelle strade e nei vicoli di Napoli si fronteggiano due codici molto differenti tra loro: la legge, da un lato; la vita criminale, dall’altro. Il giusto processo è garantito dall’ordinamento, non certo da un murale. 

Quello che ci garantisce tutti, infatti, non è la passione avventata di un adolescente che rapina a mano armata un passante, ma la legge, nell’ambito della quale solamente la famiglia di quello stesso adolescente può sperare di trovare giustizia (bisognerebbe naturalmente ricordare che la legge sta anche a garanzia dei diritti dell’altra parte, quella dell’accusato). Fuori da questo perimetro c’è solo il potere arbitrario dei gruppi particolari che prevalgono esclusivamente sulla base della loro forza e dei loro pregiudizi (che sarebbe stato infatti della vita del carabiniere se per assurdo fosse stato consegnato nelle mani di coloro che diedero l’assalto all’ospedale Pellegrini la notte della morte di Ugo Russo e che ora nella pretesa di conservare il murale che ne ritrae l’immagine vedono confermata la loro assoluta certezza di essere vittime di una brutale violenza?). Quella che si combatte a Napoli e che va sotto il nome di battaglia dei murales è alla fine una contesa tra la piena agibilità dello spazio di tutti e il sequestro di questo spazio da parte di gruppi e fazioni capaci di esercitare sulla massa dei cittadini inermi un controllo sulla base esclusiva della loro capacità di intimidazione.

Gli incauti firmatari della petizione, tutti variamente riconducibili ad un’area di sinistra e storicamente sensibili al richiamo che da sempre esercita sui ceti scolarizzati il fondo popolare della città, non colgono questa differenza. Prigionieri dell’eterno schema italiano (e meridionale in particolare) per cui lo Stato è sempre colpevole, scambiano l’abuso con la causa della libertà. Avvezzi all’immagine, alla quale si dedicano professionalmente, ne restano prigionieri. Si battono per un murale, ma non mostrano nessun interesse per la giustizia. E così nella loro testa, la verità diventa un effetto della propaganda e non il rigoroso accertamento dei fatti. 
 

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