Un ponte e i paradossi che frenano gli stranieri

di Giuseppe Tesauro
Giovedì 9 Luglio 2020, 23:00
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La decisione della Corte Costituzionale sulla legittimità del «decreto Genova», con il quale si era preclusa alla società concessionaria della tratta autostradale comprendente il Morandi di partecipare alla ricostruzione del ponte, non richiederebbe commenti, che meritano almeno una lettura delle motivazioni. Lanci mediatici ci dicono che il motivo sarebbero stati la straordinaria gravità del tragico evento ed il fatto che la manutenzione del ponte spettava ad Autostrade, sotto il profilo giuridico che il Ministero concedente avrebbe agito in autotutela. <QM>

Preferirei astenermi da valutazioni su tali ipotesi e aspetterei giudiziosamente il deposito della motivazione. Allo stato, non si può fare altro che dare il massimo credito alla Corte di aver trovato ragioni persuasive sul piano della legittimità costituzionale.

Su tale premessa, che mi sembra non solo ragionevole ma doverosa, mi vorrei consentire qualche considerazione più generale, anche al di là delle tecnicalità di un giudizio di taglio giuridico. La prima è che la decisione, sia pure letta solo nel dispositivo, era una delle possibilità, sì che non mi sembra una decisione inaspettata o sorprendente. L’esclusione dalla partecipazione ad una gara, ammesso che tale passaggio sia stato percorso in qualche forma, è compresa tra le cautele possibili, legittime e che richiedono effettiva tempestività.

La ragionevolezza del provvedimento diciamo pure cautelare di esclusione è alquanto evidente, in una situazione quale quella che interessa: e la considerazione del contesto di allarme sociale poteva anche trovare a breve un giusto apprezzamento. Se quel provvedimento l’avesse reso un giudice investito di una domanda cautelare e d’urgenza, sarebbe stato del tutto normale, in base ai requisiti canonici del fumus boni iuris e del danno irreparabile. Il fumus è, infatti, non il diritto ma l’apparenza del diritto, come insegnò Calamandrei, e tutto sommato nella specie poteva ben emergere. Quanto all’irreparabilità del danno, era almeno plausibile. Anche con il senno di poi ? A quasi due anni dall’evento? Questo è il dubbio amletico, che fatalmente mette in discussione il sistema-Paese complessivamente considerato, per il semplice motivo che l’apparenza del diritto non può durare più di tanto.

La seconda considerazione riguarda la circostanza che contestualmente alla decisione della Corte costituzionale il Ministro competente ha comunicato al Commissario per la ricostruzione che la gestione del ponte Morandi è riaffidata ad Autostrade per l’Italia, sia pure provvisoriamente, pare in attesa di una modifica del decreto Genova che contempli una soluzione eventualmente diversa. Questa notizia, a dir poco e almeno a prima e superficiale lettura contraddittoria rispetto alla decisione della Consulta, non può che sorprendere e perfino sconcertare un normale cittadino, non solo un cittadino coinvolto in qualche modo nel tragico evento. E’, tra l’altro, una notizia che apre ogni possibile spiraglio a quelle, altrettanto contradditorie, relative al futuro della gestione della principale rete autostradale italiana, che certo non è poca cosa e che non merita superficialità e scarso rigore giuridico, oltre che economico.

E quest’ultimo profilo mi sollecita una terza considerazione. Il nome che rimbalza più spesso in questa vicenda è quello di una società italiana, che di sicuro è tra i protagonisti del settore ed è una dei principali azionisti, con quasi il 30 %, di Atlantia Spa, società madre di Autostrade per l’Italia. Ma che dire degli altri investitori e azionisti, anche non italiani, di collocazione negli Stati Uniti (25%), nel Regno Unito (19 %), in Francia, oltre al resto d’Europa (12%) e altri (13 %) ? Questo quadro non investe solo la questione del ponte Morandi o della rete autostradale italiana, ma finisce per contribuire in misura consistente a ridurre la fiducia nel sistema Italia nel suo insieme. Penso all’ipotesi pubblicizzata già all’indomani del tragico evento di revocare la concessione a prescindere da qualsiasi accertamento, anche minimo, delle responsabilità di Autostrade, certo possibile, forse probabile, ma da accertare. In realtà, la concessione è uno strumento convenzionale, che nella specie fu tradotto in una legge, che prevedeva minuziosamente ogni possibile patologia, ivi compresa quella di una violazione degli obblighi di manutenzione e di controllo, della concessionaria e del concedente. Nessuno avrebbe avuto pertanto da ridire sull’applicazione, anche molto severa, di quelle regole. Appare viceversa singolare l’ipotesi che in uno Stato di diritto una delle parti del contratto, solo perché è titolare del potere legislativo, cambi unilateralmente le regole a suo vantaggio. 

In definitiva, la vicenda tragica del crollo del ponte Morandi fa emergere ancora una volta le criticità e i paradossi di un Paese che sa costruire un gioiello di ingegneria e di architettura in neppure due anni e non riesce a rendere giustizia in tempi ragionevoli, alimentando così ogni possibile critica sul rispetto di principi fondamentali del nostro assetto giuridico, anche costituzionale, tra i quali il principio di legalità. E taccio su quello dell’Unione europea, che pure ebbe un ruolo non di poco rilievo nel varo della concessione e della relativa legge. Ci lamentiamo spesso delle progressiva riduzione degli investimenti stranieri, ma poco riusciamo a fare per guadagnare in competitività e affidamento.
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