Una pagina indecorosa dietro
gli slogan di pace

di Vittorio Del Tufo
Lunedì 20 Marzo 2017, 22:48
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 Napoli, da ieri, è una «città di pace e di giustizia». Lo ha stabilito il consiglio comunale, approvando una delibera che inserisce nello statuto la «vocazione mediterranea e solidaristica della città». Dobbiamo essere orgogliosi? Ma sì, gonfiamo pure d’orgoglio i nostri petti. Subito dopo, però, faremmo bene a vergognarci. Perché nelle stesse ore in cui il consiglio comunale si riempiva la bocca di pace, giustizia, progresso e giustizia sociale, non riteneva di esprimere uno straccio di solidarietà agli agenti rimasti feriti durante gli scontri di Fuorigrotta in occasione del comizio napoletano di Salvini. E non si è limitato, il consiglio comunale della «città di pace e di giustizia», a bocciare il plauso agli agenti finiti in ospedale; ha anche respinto, con il voto della maggioranza arancione e il decisivo sostegno dei Cinquestelle, l’ordine del giorno con cui si chiedeva la costituzione di parte civile negli eventuali processi a carico dei violenti, firmando così una delle pagine più indecorose della sua storia.

La pace declamata e la violenza non condannata rischiano così di confondersi nell’ennesimo paradosso. Un paradosso che certamente sfuggirà alla maggioranza che guida la città, impegnata com’è a disegnare virtuosi percorsi rivoluzionari. D’altra parte, il consiglio comunale di Napoli notoriamente ha sede sulla luna, e ci ha abituati da tempo a esercitarsi sui principi generali dell’universo anziché occuparsi dei problemi concreti, quelli che toccano la carne viva e i nervi scoperti dei cittadini. Un autentico capolavoro, quello consegnato ieri agli annali: un capolavoro di etica e di politica.

I principi scolpiti con inchiostro indelebile nello statuto cittadino - peace and love - sono stati contraddetti in tempo reale dallo schiaffo assestato in pieno viso agli «sbirri» che a Fuorigrotta prendevano le mazzate per garantire al leader della Lega il diritto di parola. Ma il vero punto non è la pace: questa fa parte, di certo non da ieri, del patrimonio genetico della città. Il punto è che, oltre gli slogan, c’è il vuoto. E quasi mancano le parole per descrivere quanto lunare, marziano, ma soprattutto distante dalla città sia un consiglio comunale che trova il tempo per occuparsi dell’universo mondo ma non dei temi reali, quelli della vita di tutti i giorni.

Dalla vergogna del trasporto pubblico allo scandalo del welfare negato, dal crac delle società partecipate ai nullafacenti che si annidano negli uffici pubblici, dalle fogne che rigurgitano dai tombini ai progetti di riqualificazione delle periferie ancora fermi al palo. Da quando si è riunito, il consiglio comunale ha affrontato molte questioni di principio. Ben vengano, a patto che non diventino la foglia di fico per nascondere l’inconcludenza dell’azione amministrativa.

Forse è il momento di stringere sui nodi veri della città, di recuperare l’agenda dei programmi, dei progetti, delle cose da fare.
Quanto, poi, alla decisione di negare la solidarietà agli agenti feriti negli scontri, e di bocciare la costituzione di parte civile nei procedimenti penali che saranno intrapresi a carico dei responsabili dei tafferugli, è l’etica dei comportamenti, e delle responsabilità, ad arretrare paurosamente. Una città di pace che voglia costruire ponti, e non muri, per prima cosa dovrebbe lasciarsi alle spalle gli slogan e dichiarare il proprio disprezzo per la violenza, da qualsiasi parte si annidi, senza se e senza ma.

 
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