Università, il Covid frena le nuove iscrizioni: il calo è tutto al Sud

Università, il Covid frena le nuove iscrizioni: il calo è tutto al Sud
di Lorenzo Calò
Lunedì 17 Gennaio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 18 Gennaio, 08:30
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Meno iscritti nelle università campane nell’ultimo anno: è il primo, evidente effetto della pandemia che rispecchia un dato nazionale (flessione complessiva del 3 per cento nelle immatricolazioni) e che conferma, viceversa, una mini-ripresa delle migrazioni di studenti del Mezzogiorno verso gli atenei del Nord. È quanto emerge dall’analisi dei primi dati dell’anagrafe del Mur relativi all’andamento delle iscrizioni nel 2021: il quadro definitivo si avrà soltanto tra sei mesi ma i numeri sono già ampiamente esplicativi. E dunque, se a livello nazionale mancano all’appello circa 11mila iscritti (si passa dai 312.388 nel lasso di tempo gennaio 2020-gennaio 2021 agli attuali 301.776) in Campania la perdita secca è di 1224 nuove adesioni. Perdono iscritti un po’ tutti gli atenei campani: spicca, per esempio, tra le grandi istituzioni universitarie, il -9 per cento dell’università di Salerno che fa registrare anche la flessione più consistente in valori assoluti (525 immatricolazioni in meno) imboccando un trend discendente nonostante negli anni scorsi avesse ottenuto importanti risultati sia sotto il profilo dell’offerta formativa sia sotto l’aspetto dei servizi agli studenti grazie alla modernità del proprio Campus.

Segno “meno” anche per l’università Federico II che però riesce a contenere l’emorragia di nuovi iscritti perdendo solo l’1,8 per cento. In percentuale la perdita maggiore è registrata all’Orientale mentre fanno segnare il segno “più” la sola Parthenope, il Suor Orsola Benincasa e l’università telematica Giustino Fortunato di Benevento, evidentemente favorita dalla modalità a distanza della propria offerta formativa. Ma questo non vuol dire che i neo-diplomati della Campania e del Mezzogiorno abbiano abbandonato gli studi universitari. I dati del 2021, rispetto al 2020, avrebbero invece segnato una piccola ripresa di spostamenti verso Nord come confermano le performance più che positive del Politecnico di Torino (+3,6%), Milano-Bicocca (+4,4%), Padova (+3,7%) e Bologna (+9,8%): insomma, l’attrattività di questi atenei e la prospettiva di trasferirsi in città più dinamiche, vitali e di respiro europeo, avrebbero ripreso a esercitare appeal sui ragazzi del Sud. Uno scenario che il calo generalizzato di immatricolazioni in quasi tutte le principali istituzioni universitarie del Mezzogiorno sembra confermare: perdono Bari, Lecce, Palermo, Messina, Foggia, l’università del Molise, L’Aquila e Teramo.

Altro elemento interessante: un forte interesse per le materie tecnico-scientifiche (quelle del cosiddetto gruppo Stem) da parte delle ragazze con una contrazione di preferenze per il comparto fisico-matematico a vantaggio del settore ingegneristico-informatico.

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Secondo quanto stabilito dall’ultima Finanziaria il Fondo di finanziamento ordinario delle università italiane, il cosiddetto Ffo, continuerà a salire rispetto al 2021 di 250 milioni di euro per il 2022, di 530 milioni per il 2023 e di 750 milioni annui a partire dal 2024. Lo prevede la legge di bilancio 2022. Nel 2021-2022, in confronto al 2020, era cresciuto di 508 milioni sfiorando gli 8,4 miliardi complessivi, grazie al ruolo chiave giocato dal Piano di ripresa e resilienza e dunque a fondi europei straordinari. Quanto agli enti e alle istituzioni di ricerca, il Fondo viene invece incrementato di 90 milioni di euro per ognuno degli anni 2022, 2023 e 2024 prevedendo che una quota sia sempre destinata alla promozione dello sviluppo professionale di ricercatori e tecnologi e alla valorizzazione del personale tecnico-amministrativo. La Legge di Bilancio 2021 ha invece cancellato l’Agenzia nazionale per la ricerca, istituita dal governo Conte 2 (ma mai entrata in funzione) e dotata di risorse iniziali, solo per il 2020, pari a 25 milioni di euro. Il Fondo italiano per la scienza avrà invece una dotazione di 150 milioni di euro per il 2022, mentre arriverà a 200 e 250 milioni rispettivamente nel 2023 e 2024. La legge di bilancio prevede, infine, il nuovo Fondo italiano per le scienze applicate con una dotazione di 50, 150 e 250 milioni rispettivamente per il 2022, il 2023 e il 2024. 

Intanto, mentre Napoli e Trieste «litigano» a distanza sulla paternità «socio-culturale» del rito del caffè quale bene immateriale Unesco (nella quasi totale inerzia di governo e ministero) è il capoluogo friulano a fare della preziosa bevanda l’oggetto di uno specifico Master di carattere internazionale inaugurando un corso di primo livello inter-ateneo in «Economia e Scienza del Caffè»: il corso di studi è rivolto ai giovani laureati in economia, ingegneria e scienze agrarie, «nato per offrire - recita la relazione dell’ateneo triestino - una preparazione a tutto tondo sulla cultura del prodotto, dalla pianta alla tazzina, sulla valenza sociale del consumo del caffè e sulla cultura dei Paesi produttori». A Napoli sono avvertiti. Al progetto hanno aderito anche gli atenei del Colorado e di Copenhagen.

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