Perché i «Ni vax» diventano più pericolosi dei «No vax»

di Eugenio Mazzarella
Mercoledì 21 Luglio 2021, 00:32 - Ultimo agg. 07:00
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Rispondendo alle domande del direttore de Il Mattino, Federico Monga, all’Arenile di Bagnoli sul nodo più immediato e urgente della pandemia, e cioè come gestire il necessario ritorno alla socialità estiva e poi, a settembre, scolare, in sicurezza, dando un ulteriore impulso agli obiettivi della campagna vaccinale Giorgia Meloni si è iscritta alla nuova categoria pandemica: i “nivax”, quelli che non sono né vax, pro-vaccino, né no vax, contro il vaccino.

Un problematicismo vaccinale, diciamo così, di lotta (Meloni) e di governo (Salvini), fatto di “sì”, “però”, “voglio capire”, “la questione è un’altra”, che complica la vita a Palazzo Chigi, e al ministero della Sanità, impegnati in uno sforzo complesso, ma soprattutto mette a repentaglio la salute degli italiani. 

Un nivax, se davvero come sostiene non è in linea di principio contro i vaccini, ma vuole “solo capire” e “chiede chiarezza sul rapporto rischio-benefici”, non ha uno straccio di argomento razionale per i suoi “dubbi”, che sono già stati vagliati dalla comunità scientifica internazionale, ed hanno portato alla più imponente campagna di vaccinazione della storia, che certo ha scontato e sconta alcune incertezze, ma che non lascia adito a dubbi sulla sua necessità. 

Quindi è difficile capire la condizione di perplessità della Meloni e di Salvini, che non è una no vax, una “terrapiattista” della virologia. A meno che non si cambi paradigma per capire una posizione comunicativamente pericolosa, perché contribuisce a diffondere proprio i dubbi che chiede di chiarire, e quindi a demotivare il ricorso al vaccino. E il paradigma è il solito della politica italiana dell’ammiccare. In questo caso ammiccante a chiunque non razionalizzi lo scontento – che è di tutti – di dover vivere e convivere con la pandemia, e di pancia pensi che poiché piove è colpa del governo ladro. 

Più in concreto si dà voce allo scontento delle categorie più in difficoltà economica e/o esistenziale (ristoratori, turismo, giovani) puntando sul fatto che dopo due anni di stop and go non ne possano più e siano di fatto disposti a correre, e a far correre agli altri, più rischi di quanto sia ragionevolmente sostenibile.

A questo fine corrono le affermazioni più rischiose – “tanto ormai non si muore più”, “le terapie intensive sono quasi vuote” – che già sono corse l’estate passata, con le conseguenze che si sono viste. Ma si risponde: “ma ora c’è il vaccino!”. Benissimo. Allora logica concludente vorrebbe, che a parte le assurdità no vax, si remasse tutti nella stessa direzione: accelerare la campagna vaccinale. E invece no. Per essere urbani, è tutto un seminar dubbi con presunzione di argomenti che ricordano il figlio di Bertoldino della novella, più sempliciotto ancora del nonno Bertoldo, il cui “sapere” epidemiologico, aggiornando ad oggi la fine che fece alla corte di Alboino, dal re fatta scrivere sulla sua lapide, lo vedrebbe morire in un reparto Covid dopo una notte di ristorazione e discoteca. 

Ma poiché Meloni e Salvini sempliciotti non sono, affermare che “non si può introdurre il Green pass per accedere alla socialità”, quando il suo scopo è proprio quello, renderla di nuovo fruibile in sicurezza la socialità, si capisce, detto da loro, a una sola condizione: guardare all’utilità marginale a fini elettorali dello scontento sociale che l’obbligo di contrastare la pandemia ovviamente produce. Un modo di fare politica che non fa bene al Paese e probabilmente neanche alla credibilità di chi sostiene queste tesi, ammesso che coltivi l’ambizione di sostituire a Palazzo Chigi Draghi, cui, tra una dichiarazione nivax e l’altra, fa sapere di star dando consigli su come governare la barca in pericolo del Paese. 

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