In questi lunghi giorni di pioggia insistita, imperterrita, mi è tornato in mente «Malacqua», il romanzo di Nicola Pugliese, uno dei più bei libri su Napoli, che racconta quattro giorni di pioggia in città (con crolli, frane ed eventi misteriosi), «in attesa che si verifichi un accadimento straordinario».
Ieri mattina via Posillipo è stata attraversata da un fiume in piena: la gente è rimasta bloccata sui marciapiedi, o ha dovuto arrangiarsi con calosce improvvisate con le buste della spesa per attraversare laghi di acqua. Lo stesso è successo anche ai Vergini del Rione Sanità, travolta da impetuosi torrenti.
Non è la prima volta che accade: il sistema fognario si intasa per le foglie e il fango portati dal vento e dalla pioggia e il risultato è inevitabile. Eppure, basterebbe appena un po’ di manutenzione, basterebbe qualcosa di molto semplice, come pulire i tombini otturati subito dopo ogni pioggia, ad esempio, e si eviterebbero queste scene da cataclisma. Dico cose banali, lo so, ma tutto ciò che altrove è banale, tutto ciò che altrove è ordinaria amministrazione, si sa, a Napoli diventa una missione impossibile. I cittadini si adeguano, accettano che i propri figli non vadano a scuola per più giorni in una settimana, che anche i parchi e i cimiteri restino chiusi, che i marciapiedi siano impraticabili, che gli alberi e i pali della luce possano cadere. E nemmeno ci si sorprende più di tanto, ormai, se una città può essere messa in ginocchio dopo poche ore di pioggia.
Mi tornano in mente, allora, le parole di Nicola Pugliese: «Restava da chiedersi se davvero le pietre avrebbero resistito, con tutta quell’acqua che scendeva e scendeva in quel quarto giorno esattamente com’era scesa nei tre giorni precedenti, ed insomma non sembrava proprio che in qualche modo la città avesse intenzione di reagire, soltanto e semplicemente si limitava ad assorbire l’acqua finquando avesse potuto, ma il problema in effetti è proprio questo: fino a che punto si può assorbire l’acqua? qual è in realtà il momento limite? In ogni caso accadeva, come se questo problema fosse ancora indistinto e confuso e certamente lontano, perché la rassegnazione si era trasformata in indifferenza, e nella vita ci si abitua a tutto». Parole apparse nel 1977 e che fissano in maniera esemplare la condizione di una città che resta immutabile: una città che oggi, come ieri, non sembra avere intenzione di reagire, e dove la rassegnazione si è trasformata in indifferenza. L’allerta meteo è diventata per Napoli la nuova cartina di tornasole (mi si scusi il gioco di parole) che segnala il male peggiore della città: l’incompiutezza, o, se preferite, il pressapochismo. La chiusura delle scuole per pioggia o per le raffiche di vento di scirocco, può essere un’occasione di giubilo per gli studenti (e per molti docenti), ed è comprensibile, ma in realtà è un’ammissione di sconfitta per un’amministrazione che ha rinunciato a garantire la sicurezza (e il diritto allo studio) ai propri cittadini. E quando l’emergenza resta l’unico modo di governare una città vuol dire appunto che siamo già al di là della rassegnazione.
È notizia di ieri l’approvazione da parte della giunta comunale del piano di intervento per la messa in sicurezza di quattro edifici scolastici, per un totale di un milione di euro. È una buona notizia, ma è solo una goccia nel mare: quanti dirigenti scolastici non hanno avuto nessuna risposta alla loro richiesta del certificato di agibilità dei plessi scolastici? Quante scuole in città cadono letteralmente a pezzi o hanno nei loro viali d’accesso alberi a rischio? La pioggia di questi giorni non fa che peggiorare la situazione, naturalmente. Sarebbe proprio il caso di dire che piove sul bagnato: le scuole saranno ancora più pericolanti, le strade sempre meno sicure, i tombini ancora più intasati e pronti a saltare e la città sempre più rassegnata, forse passivamente «in attesa che si verifichi un accadimento straordinario», che la trasformi per magia in una città normale. Certo, il panorama del mare in tempesta a via Caracciolo, con le onde che si infrangevano sugli scogli, era spettacolare, come il cielo sopra la città oscurato dalle nuvole. Ma fino a quando ci lasceremo ferire a morte o addormentare dalla straziante bellezza di questa città? Fino a che punto si può assorbire l’acqua?
La «Malacqua» senza tempo
di Fabrizio Coscia
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Domenica 17 Novembre 2019, 00:00
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