Vigilante ucciso a Napoli, la figlia si laurea con una tesi su colpa e dolo

Vigilante ucciso a Napoli, la figlia si laurea con una tesi su colpa e dolo
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 18 Dicembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 15:18
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Avrà ripensato mille volte, nel corso della stesura della sua tesi di laurea, alla sottile differenza tra chi colpisce per uccidere e chi invece uccide senza motivo, magari senza capire neppure quale dramma sta provocando. Alla differenza tra un omicidio volontario, il dolo eventuale e la colpa cosciente. Parole che per tutti i dottori in Legge sono nient’altro che formule giuridiche, che rimandano ad articoli del codice, a commi e capoversi. Non per lei, non per Marta Della Corte, la figlia di Francesco, il vigilante ucciso all’esterno della metropolitana di Piscinola da una banda di tre ragazzini. Ieri, Marta si è laureata. Da remoto, collegata con gli uffici di Giurisprudenza della Federico II, con una tesi di laurea in Diritto penale speciale (relatore il docente Giuseppe Amarelli), che affronta un argomento che ha segnato la sua vita di studentessa, la sua linea d’ombra tra l’infanzia e la vita adulta: «Dolo eventuale e colpa cosciente nei delitti di omicidio», era il titolo della tesi. Non un argomento a caso, ma vita vissuta, dramma quotidiano, a pensare a quei tre banditi minorenni che - a marzo del 2018 - uccisero il padre senza un motivo reale. Gli spaccarono la testa, colpendolo alle spalle. Franco Della Corte morì sotto i colpi di diverse sprangate. Ucciso un po’ per noia (i tre assassini avevano trovato la cornetteria chiusa), un po’ perché volevano rapinargli la pistola. 
Ieri il giorno più bello per Marta Della Corte: laureata con 110 e lode, con una tesi in quella disciplina - il diritto penale - che ha conosciuto da parte offesa, da figlia diventata orfana per mano di un branco di periferia.

 

Qual è stato il suo primo pensiero, dopo la proclamazione del voto?
«Che ho coronato un sogno, quello di mio padre. Era fiero di me e di mio fratello. In particolare, amava raccontare a tutti che ero iscritta al corso di laurea in Legge, era orgoglioso di potermi accompagnare all’università e seguirmi negli studi. Quella di oggi non è stata solo una vittoria mia, ma di tutta la mia famiglia. Dopo tanto dolore, posso dire che abbiamo conquistato questa scheggia di felicità».
Rimaniamo al titolo della sua tesi di laurea. Lei ha affrontato una fattispecie penale, quella del delitto, del dolo eventuale, della colpa cosciente che è molto vicina alla storia del processo agli assassini di suo padre.
«Più o meno, nel caso di mio padre c’era un dolo volontario, io mi sono soffermato sulla mia tesi sul dolo eventuale».
Certo, ma quanto ha influito la vicenda che le è toccata vivere con questa tematica?
«Il mio percorso di vita ha decisamente influito sulla scelta della materia, sull’indirizzo degli ultimi due anni di studio, sulla materia affrontata assieme al mio professore, il docente Amarelli. Più in generale, posso dire che attraverso lo studio ho cercato di mettere a fuoco quelle condotte, sempre seguendo le indicazioni del mio relatore. In un certo modo, tutto ciò mi ha consentito anche di mettere a fuoco tante cose che ho dovuto subire, leggendo gli atti del processo a carico degli assassini di mio padre, confrontandomi con la crudezza della realtà processuale. Ho cercato di approfondire, di capire meglio, approcciando una materia che aveva devastato la mia e la nostra vita». 
Cosa sogna di fare in futuro?
«Voglio iniziare la pratica forense. È l’obiettivo più vicino che mi sono prefissato».

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Recentemente, il suo avvocato - il penalista Marco Epifania - è intervenuto nel dibattito sul processo minorile, chiedendo al Legislatore di consentire la costituzione di parte civile per i reati più gravi, come per un omicidio. Lei cosa ne pensa?
«Sono assolutamente d’accordo con il mio avvocato, che ringrazio per la passione e la competenza che mi ha dedicato. Oltre al dramma che ci è toccato vivere, anche la beffa per non poter avere formalmente accesso in un’aula di giustizia. Non era possibile intervenire, esaminare testi o imputati. Pensi che abbiamo appreso dai giornali la data dell’ultima udienza nel processo d’appello, quella in cui hanno tolto due anni di cella ai tre assassini di mio padre (da 16 anni e mezzo a 14 anni e mezzo). Non lo trovo giusto, credo che qualcosa debba cambiare prima o poi, non solo per quanto riguarda la questione della costituzione di parte civile di una parte offesa».
A cosa si riferisce?
«Ormai tanti delitti gravi vengono consumati da giovani, da soggetti non ancora minorenni. Anche su questo punto mi sono confrontato con il mio avvocato e credo che un istituto come la messa alla prova non debba essere concesso subito, ma debba passare attraverso un processo di maturazione profondo».
Si riferisce al fatto che un anno fa fece scalpore? Con uno dei tre assassini che ottenne il permesso di festeggiare il diciottesimo compleanno all’esterno del carcere?
«Ricordo quelle foto postate sui social, è un altro aspetto che ci ha feriti in tutta questa vicenda».
Cosa ha pensato quando la commissione di esame ha pronunciato il suo nome e le ha assegnato il massimo dei voti? 
«Ero al computer, dinanzi al monitor, da remoto. Eppure ho avvertito la solennità di quel momento. Ho sentito il calore dell’abbraccio di mio padre scendere sulle mie spalle. So che in quel momento era accanto a me, come quando ero bambina, so che non mi ha mai lasciata sola: e per un attimo ho ritrovato la felicità perduta». 
 

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