Napoli, i dimenticati della Whirlpool: «Non veniamo dopo l'Ilva»

Napoli, i dimenticati della Whirlpool: «Non veniamo dopo l'Ilva»
di Luigi Roano
Venerdì 22 Novembre 2019, 00:00 - Ultimo agg. 07:30
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Si sono spente le luci sulla Whirlpool, quasi nessuno più ci bada che 400 operai sono a rischio licenziamento e le loro famiglie alla disperazione. Non ci sono più le telecamere fuori dai cancelli - a decine appena un paio di settimane fa - e nemmeno i curiosi che scrutando i volti di quelle donne e di quegli uomini in tuta gialla volevano capire se la fabbrica davvero stesse chiudendo. Nulla di nulla: un deserto battuto da una pioggia incessante e dal freddo. «Il caso Ilva di Taranto - racconta Donato Aiello rsu della Fiom - ci ha un po’ oscurato, quasi fatti finire nel dimenticatoio, ma noi non molliamo e il 27 saremo a Roma in tanti e continueremo a stare in allerta fino a quando non avremo certezze sul futuro e non solo per i prossimi 11 mesi».
 

 

Il riferimento è al ministro Patuanelli che per il Governo sta trattando la vertenza Whirlpool, la fabbrica delle lavatrici di Ponticelli. I proprietari americani hanno derubricato la chiusura del sito spostando la data del «termine della produzione» sul finire del 2020. E per questo il 27 gli operai della Whirlpool saranno dal ministro nella Capitale, già stanno firmando le sottoscrizioni per affittare i bus, per sapere che soluzione l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte abbia trovato per salvare la Whirlpool. E al riguardo nessuno è disposto a scommettere un centesimo dello scarno stipendio - al massimo 900 euro al mese - perché regna la sfiducia. Tristezza, mal di vivere, chiamatela come volete, ma gli operai hanno paura del futuro.
 

«A noi quello che dice Patuanelli non ci fa stare tranquilli, anzi. Non abbiamo fiducia nella politica che non ha ancora trovato una soluzione definitiva, spostare in avanti il problema non lo risolve ma lo aggrava. E l’appello che facciamo è di trattare questa vertenza senza badare a quale casacca si indossa, ma pensando alla sorte di noi operai» racconta Salvatore Di Palma prima di entrare in servizio. A Ponticelli “la fabbrica” - così la chiamano tutti un po’ come accade a Bagnoli per l’ex Italsider e speriamo che il risultato non sia lo stesso - è uno dei rari motori dell’occupazione e di sviluppo. Un approdo che in tanti sognano sin da bambini. 

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Ma, l’Ilva e i colleghi di sventura in tuta blu, non sono i nemici, anzi. «Sabato - racconta Carmela Nappo del Cral della Whirlpool - un delegato dell’Ilva di Taranto sarà con noi qui a Ponticelli nell’ambito della rassegna sul cinema e i diritti umani. E quello al lavoro è il primo dei diritti. Ricorderemo anche la cooperante Silvia Romano». Marcello Accurso lancia l’appello: «Sabato massima presenza massima adesione la nostra vertenza farà da cornice ad un evento importante. Facciamoci trovare pronti perché la nostra vertenza non è finita. Ci saranno anche i “maestri di strada” che sosterranno la vertenza con laboratori e attività per i nostri figli». E sulla visita del delegato Ilva spiega: «Presto ricambieremo la visita, andremo in tanti a Taranto, viviamo lo stesso dramma».

Parcheggi semivuoti e camion sia in uscita che in entrata per il trasporto merci della fabbrica delle lavatrici che si contano sulle dita di una sola mano. Inequivocabile segnali che la produzione è ai livelli minimi. «Come viviamo questo momento? Male, malissimo - racconta Giuseppe Rescigno - la vita si è fermata al 31 maggio quando è scoppiata la crisi, quando ci volevano licenziare. Allora come oggi non vedo un futuro perché a Roma non vediamo nessuna azione concreta, vera e reale. Senza un Governo che decide la vedo male».
 
 

Qui a Ponticelli tutti o quasi quelli che lavorano alla Whirlpool hanno un mutuo contratto molti anni prima, perché la fiducia nella fabbrica era incrollabile, malgrado già da una decina di anni gli ammortizzatori sociali come la cosiddetta «solidarietà» sono un sostegno imprescindibile per mantenere il livello dello stipendio accettabile. «A casa tutti abbiamo i figli, il mio vuole scriversi all’Università. Ma sa delle difficoltà e mi chiede se c’è la possibilità di pagare le tasse. L’altra mia figlia lavora a 400 euro al mese. Voglio dire che gli americani ci hanno tolto la dignità. Non vogliamo elemosine ma lavoro, questa è una fabbrica funziona il livello di assenteismo è a zero e lo sanno bene i dirigenti». Grazia Zinno, mamma lavoratrice attacca frontalmente: «Vuole sapere se ho figli? Certo che ce li ho e tutte le volte che vado a lavoro mi chiedono come vanno le cose.
Per incoraggiarmi quando mi sveglio mi cantano il nostro inno di battaglia: “Napoli non molla, noi non molliamo”, ma è dura resistere». Rosaria sintetizza così la situazione: «Non molliamo, ma siamo stressati e impauriti e il silenzio che c’è in fabbrica racconta quali sono i nostri sentimenti, ma il 27 il ministro stia tranquillo ci faremo sentire e torneremo ad accenderci». 

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