Il Papa da Orban e l'accordo diplomatico a non pronunciare la parola 'migrante'

Il Papa da Orban e l'accordo diplomatico a non pronunciare la parola 'migrante'
di Franca Giansoldati
Lunedì 13 Settembre 2021, 11:29
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Budapest - In quelle sette ore - tanto è durato il viaggio lampo di Francesco in Ungheria Viktor Orban deve avere incrociato più volte le dita. Solo quando Papa Bergoglio nel pomeriggio è ripartito di corsa alla volta di Bratislava, in Slovacchia, dopo aver pronunciato quattro discorsi di fila e celebrato la messa conclusiva del Congresso Eucaristico, il premier sovranista ha tirato un respiro di sollievo. L'evidente tacito accordo individuato dalle diplomazie durante la preparazione del viaggio di non fare della grande questione dei migranti una denuncia pubblica, esplicita, davanti ai media di tutto il mondo è stata rispettata. Effettivamente in quelle sette ore il pontefice ha evitato di parlare a braccio, prendendo di petto l'argomento che più gli sta a cuore e lo fa soffrire, col rischio però di trasformare tutto in un esplosivo caso internazionale.
LA CONDANNA
Budapest ha già collezionato una condanna dall'Europa e dalla Corte di Giustizia per la politica di respingimenti. Così il Papa si è concentrato su altri problemi evitando di accendere la miccia alla vigilia delle elezioni politiche ungheresi (fissate per l'anno prossimo). Tuttavia si è ritagliato una affilata riflessione durante la messa, utilizzando allegorie e ricorrendo alle sacre scritture. Parlando ai fedeli, in una piazza degli Eroi gremita di ragazzi, di famiglie, di bambini composti e biondi, ha usato la metafora della Croce. «La croce, piantata nel terreno, oltre a invitarci a radicarci bene, innalza ed estende le sue braccia verso tutti: esorta a mantenere salde le radici, ma senza arroccamenti; ad attingere alle sorgenti, aprendoci agli assetati del nostro tempo». La parola migranti non fa capolino, tuttavia Francesco li evoca sullo sfondo. «La diversità fa paura - ha detto - ma no alle chiusure».
Il premier Viktor Orban seduto in prima fila con moglie e figli ascoltava attento. Poco prima, in una delle austere sale del museo delle arti che affaccia sulla piazza della celebrazione, si erano incontrati per un colloquio, ognuno accompagnato da dignitari. Accanto a Francesco sedeva il cardinale Pietro Parolin (che in Slovenia due settimane prima aveva avuto modo di parlare a Orban di migranti, sollevando la questione) e monsignor Paul Gallagher. Orban, invece, era affiancato dal presidente ungherese, Janos Ader. Al termine di 40 minuti di colloquio è stata diffusa solo una foto opportunity della stretta di mano ma senza interviste, spiegazioni, approfondimenti. A misurare il clima complicato anche l'esclusione della consueta copertura mediatica prevista per momenti analoghi. Più tardi sul profilo Facebook Orban ringraziando il Papa lo invitava «a non fare morire il cristianesimo in Ungheria». Significativo anche il dono scelto: una copia della lettera che il re ungherese Bela IV nel 1250 scrisse a Innocenzo IV in cui chiedeva aiuto contro i tartari che minacciavano l'Ungheria cristiana. Il Vaticano si è affidato ad un comunicato altrettanto telegrafico: «Tra i vari argomenti trattati, vi sono stati il ruolo della Chiesa, l'impegno per la salvaguardia dell'ambiente, la difesa e la promozione della famiglia». Nel tour de force ungherese Francesco ha dato prova di essersi ripreso dall'operazione. Quando si sentiva stanco si sedeva per poi riprendere subito dopo a spostarsi senza alcun ausilio.
IL DISCORSO
Il discorso più vibrante della giornata lo ha riservato alla comunità ebraica mettendo in guardia dall'antisemitismo crescente, dai rigurgiti dell'odio: vogliono «distruggere la fraternità». E ancora. «La minaccia serpeggia in Europa e altrove. È una miccia che va spenta. Dobbiamo vigilare e pregare perché non accada più». Andras Heisler, presidente della Federazione delle comunità ebraiche ungheresi ha spiegato al Messaggero che «se in passato gli ebrei hanno sofferto particolarmente, oggi l'Ungheria è una zona sicura. Qui, al contrario di altri Paesi, non riscontriamo attacchi contro le sinagoghe o contro le comunità, in ogni quartiere c'è un controllo stretto». Heisler aggiunge che in Ungheria la comunità islamica è pressoché assente. «Pochissimi musulmani e moderati».
Franca Giansoldati
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