Lavoro, Fmi gela l'Italia: venti anni per tornare agli occupati pre-crisi

Lavoro, Fmi gela l'Italia: venti anni per tornare agli occupati pre-crisi
Martedì 28 Luglio 2015, 02:58
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La «mazzata» psicologica di Washington - ci vorranno almeno vent'ani all'Italia per recuperare i livelli di ocupazione pre-crisi, dieci in più della Spagna - arriva nel giorno in cui la Cgia di Mestre certifica che il Sud ha pagato il prezzo maggiore ala crisi degli ultimi otto anni proprio in termini di posti di lavoro. La concomitanza è fortuita ma i dati, quelli no. Dal 2007 al primo trimestre del 2015 in Italia si sono persi 932.000 posti di lavoro ed è stato il Mezzogiorno a soffrire di più: in termini assoluti - sottolinea la Cgia - le regioni magiormente colpite sono state la Sicilia in cui gli occupati sono diminuiti di 168.000 unità, la Campania con 129.000 e la Puglia che ne ha persi circa 100mila. In tutte le regioni meridionali il calo occupazionale ha interessato 580.000 lavoratori (pari al 62,2 per cento del totale). Numeri forse in parte già noti ma che rapportati alla choccante (e comunque non inedita) previsione del Fondo monetario internazionale fanno notizia, eccome. Giovedì prossimo, oltre tutto, se ne parlerà in maniera ancora più dettagliata in occasione della presentazione delle anticipazioni del rapporto 2015 della Svimez: qualche segnale di miglioramento rispetto all'anno precedente c'è ma non tale da far dimenticare lo spessore della crisi abbattutasi sull'occupazione meridionale.
Le indicazioni di Washington, anche per questo, pesano in maniera particolare al Sud. Non è una questione di pessimismo fine a se stesso, nient'affatto: è la semplice constatazione che il divario per recuperare il passato per chi vive in questa parte del Paese rischia davvero di trasformarsi in un incubo. Secondo molti economisti, la crisi nel Mezzogiorno avrebbe di fatto già allontanato un'intera generazione di under 25 dall'appuntamento con il lavoro: se i dati Fmi venissero confermati, se cioè non ci fosse una ripresa forte (e prevederla appare abbastanza difficile, almeno oggi) quella generazione non sarebbe l'unica a dover dire addio a un impiego, magari anche precario, ma comunque in grado di generare un reddito. «L'alta disoccupazione giovanile potrebbe danneggiare il capitale umano potenziale, portando a una “generazione perduta”» segnalano gli economisti di Washington.
Uscire dalla palude, questo è certo, è ancora complicato. Lo dimostrano i dati sull'andamento del mercato del lavoro diffusi proprio ieri dal ministero del Lavoro. A giugno le assunzioni con contratti di lavoro “fisso” non sono riuscite a tenere il passo delle cessazioni: il saldo è risultato negativo per circa novemila unità ma nel semestre il bilancio resta positivo per 282.000 contratti.
A guardare i dati di giugno in Italia sembrerebbe che l'euforia del Jobs act abbia già esaurito i suoi effetti galvanizzanti. Il saldo del lavoro stabile è tornato negativo. Secondo i dati diffusi dal Ministero del Lavoro, sono più i contratti cessati che i nuovi appena attivati: 155.388 contro 145.620. Il che vuol dire che ci sono 9.768 lavoratori con contratto a tempo indeterminato in meno. Brutta notizia, ma se si guarda a quanto accaduto nello stesso periodo dello scorso anno, allora sembra meno cattiva. Anche a giugno del 2014 infatti le cessazioni di contratti a tempo indeterminato avevano surclassato le assunzioni stabili, ma in quel caso il risultato negativo fu pari a 32.005 (141.207 cessazioni contro 109.202 attivazioni). Inoltre allargando lo sguardo ai primi sei mesi dell'anno, il saldo è positivo per circa 282.000 posti.
Ricapitolando: a giugno ci sono state 821.544 assunzioni contro 760.446 cessazioni (pensionamenti, mancati rinnovi, licenziamenti), con un saldo positivo quindi di 61.098 contratti. Per la stragrande maggioranza i nuovi contratti restano a termine (565.191), ma rispetto allo stesso mese dello scorso anno quelli a tempo indeterminato mostrano comunque un aumento (145.620 contro 109.202 di giugno 2014). Diminuiscono invece i contratti di apprendistato (26.189 contro 33.809), le collaborazioni (34.296 contro 47.688) e anche se di poco (50.248 contro 50.897 di giugno 2014) tutto il resto degli atipici.
n. sant.
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