Morto per infezione, il giudice: l'ospedale paghi un milione

Morto per infezione, il giudice: l'ospedale paghi un milione
Lunedì 19 Ottobre 2015, 02:06
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Marco Di Caterino
Operato a luglio, per un intervento di banale routine chirurgica, come la rimozione di calcoli alla colecisti, muore ad ottobre per una endocardite batterica contratta in ospedale. Un decesso, causato da un'infezione nosocomiale. Era il 31 ottobre del 2008. Nove anni dopo, e una dura battaglia giudiziaria, mossa dai familiari del paziente deceduto, Roberto V., 61 anni di Casoria, vice comandante dei vigili urbani di Afragola, ai tempi del decesso, il Tribunale di Napoli ha condannato l'ospedale Cardarelli di Napoli, a risarcire la moglie e i due figli, con circa 279 mila euro ciascuno, comprensivi degli interessi maturati, quale risarcimento danni per la scomparsa del loro familiare.
Il giudice Francesco Graziano, (ottava sezione civile) a cui era affidato il giudizio, è andato ancora più in profondità nella sentenza. Il magistrato ha considerato anche il danno biologico del paziente, in ragione di 5.500 euro per ciascuno dei diciotto giorni di degenza (dal 18 ottobre al 31 dello stesso mese, data della morte). Scrive Graziano: «Questo danno è finalizzato al risarcimento per la paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda contro che esse saranno causa della propria fine...». Dunque un conto salatissimo per l'Azienda Ospedaliera di «rilievo nazionale Antonio Cardarelli», che dovrà sborsare solo per i danni per quel decesso poco meno di un milione di euro, a cui vanno aggiunti oltre 30 mila euro, tra spese processuali e compensi professionali forensi. La sentenza, invece, assolve dalle responsabilità del caso, l'Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II – il nuovo policlinico - e per le casse del Cardarelli, e in genere per quelle davvero anemiche della sanità regionale, sarà un vero salasso, perché la società assicurativa dell'ospedale napoletano, la «Faro Compagnia di Assicurazione e Riassicurazioni Spa» di Roma, nel frattempo è finita in liquidazione coatta amministrativa. Nessun commento dalla direzione generale del Cardarelli che ha scelto, pur essendo stata contattata, il silezio.
«Nella sentenza, il giudice Francesco Graziano, ha determinato con precisione le responsabilità della morte del mio assistito – commenta con pacatezza l'avvocato Giulio Costanzo, legale esperto per le cause di responsabilità professionali mediche – e quella che potrebbe sembrare una cifra davvero importante per i danni patiti dai familiari del deceduto, non servirà a colmare il grande vuoto lasciato da un padre, marito e nonno». Anche questa volta - conclude il legale - non è stato semplice accertare che le concause del decesso del mio assistito sono scaturite dalle condizioni igienico sanitarie e ambientali dell'ospedale, oltre che dalla terapia inappropriata, come hanno accertato sia il perito del tribunale che il dottor Giovanni Liguori, consulente della difesa. Ora ci attende una nuova battaglia, per accelerare i tempi per ottenere le somme del risarcimento.
La vicenda, come è ben narrata nelle ventisette pagine della sentenza, inizia il 29 luglio del 2008, con il ricovero di Roberto V., presso il secondo policlinico. Il vice comandante dei caschi bianchi voleva togliersi quei fastidiosi calcoli alle vie biliari, che spesso si facevano sentire con dolorose ed improvvise coliche.
Eppure quella operazione così banale, si è trasformata in un'agonia durata ben novanta giorni. Scanditi da degenze presso il Policlinico prima e il Cardarelli poi, che hanno distrutto il fisico del povero pensionato. Nell'ultimo ricovero, era il 18 ottobre del 2008, Vincenzo ha avuto la terribile consapevolezza che la sua vita sarebbe finita, così come è stato scritto nella sentenza del giudice Francesco Graziano. E a leggere quelle ventisette pagine, vengono i brividi. Perché, caso raro, la perizie del consulente della difesa e quella dei periti nominati dal tribunale, giungono alle stesse conclusioni. Roberto V. è deceduto perché l'infezione nosocomiale, nel caso specifico una endocardite batterica, nonostante fosse stata individuata dopo alcune analisi, già il diciotto ottobre, fu curata con ritardo (cinque giorni dopo) e con un antibiotico inadeguato. E in questo quadro già molto fosco, i periti nella loro relazione scrivono: «Sono emerse, inoltre, all'analisi degli eventi…carenze organizzative e/o di coordinamento delle attività diagnostico-assistenziali, ma anche inadeguatezze terapeutiche, che hanno, ragionevolmente, contribuito a ridurre le probabilità di guarigione della patologia terminale che portò alla morte il paziente; la guarigione, viceversa, nell'ipotesi di un ottimale approccio diagnostico e terapeutico, rappresenta l'esito “più probabile”, ossia con percentuali superiori al 50% dei casi». Per Roberto V. non è andata così. Ci sono voluti nove anni per una sentenza. E, con molta probabilità, il caso, considerato che il nosocomio può appellarsi, non è ancora definitivamente chiuso.
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