Per lo scioglimento del Comune servono le firme di 25 consiglieri

Per lo scioglimento del Comune servono le firme di 25 consiglieri
Lunedì 26 Ottobre 2015, 02:13
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Mauro Evangelisti
ROMA. «Non vi deluderò». La frase pronunciata da Marino di fronte a un migliaio di sostenitori che gli chiedevano di ritirare le dimissioni, riapre il gioco delle ipotesi alternative. Tre gli scenari possibili che si potrebbero prospettare se Marino facesse marcia indietro. Il primo: i diciannove consiglieri comunali del Pd firmano contestualmente le dimissioni. Sono sufficienti a causare lo scioglimento? No, devono essere almeno 25. Gli altri gruppi della maggioranza - Lista Civica e Sel - non sono disponibili, chiedono il dibattito in aula. Servirebbe un accordo con parte della minoranza, almeno sei consiglieri pronti a firmare le dimissioni contestualmente ai democrat. Il prefetto dovrebbe nominare il commissario e si andrebbe a votare in primavera.
Controindicazioni: nel gruppo del Pd potrebbero esserci delle defezioni; anche dai banchi della minoranza in molti invocano la sfiducia in aula. Morale: le 25 contestuali firme non sono scontate.
E allora? Marino è inamovibile? No, c'è appunto lo strumento della mozione di sfiducia, in cui però il Pd posterebbe la foto dei suoi consiglieri che defenestrano un sindaco democrat insieme all'opposizione. Per presentare la mozione di sfiducia servono i due quinti delle firme dei consiglieri. Il presidente dell'aula deve convocare il consiglio comunale non prima di dieci giorni non oltre trenta. L'allungamento dei tempi consentirebbe a Marino il colpo di teatro di cui tanto si parla: essere in aula con fascia tricolore alla prima udienza del processo a Mafia Capitale. Terza via: non votare il bilancio consuntivo, che deve essere varato entro il 30 novembre. Scatterebbe il commissariamento, ma visti i tempi tecnici Marino così sarebbe ancora sindaco l'8 dicembre. Il giorno dell'apertura della Porta Santa.
«È un'esperienza finita», taglia corto il senatore del Pd Stefano Esposito, ormai ex assessore capitolino alla mobilità: «La posizione del partito è chiara». Alcuni rumors parlano di addirittura un'ipotesi azzeramento giunta subito dopo il ritiro delle dimissioni: sarebbe una mossa in extremis di Marino per spuntare l'eventuale controffensiva del Partito democratico. Di sicuro il partito, fiaccato ed estenuato da questo braccio di ferro, vorrà allontanare a tutti i costi l'epilogo in Aula, con annessa sfiducia del sindaco, anche per «non mischiare i nostri voti con quelli della destra», come ha più volte ribadito il capogruppo Fabrizio Panecaldo.
A suggerire una exit strategy l'ex segretario dei dem a Roma, ora deputato, Marco Miccoli: «La proposta è questa - dice - aprire un confronto che duri sei mesi. In questo periodo Marino resta sindaco e il Pd di volta in volta decide se appoggiare le sue proposte, una sorta di appoggio esterno».
Ma c'è chi considera «l'era Marino» già finita, come Alfio Marchini che dice: «I duelli di palazzo tra Marino e il Pd e tra Alemanno e il suo partito sono il funerale di un sistema al collasso. Noi continuiamo a concentrarci su come migliorare la vita dei romani». Mentre per la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, che non esclude una candidatura a sindaco di Roma, il «non vi deluderò» di Marino «sembra più una minaccia».
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