La foresta del Parco del Circeo sta morendo, via al piano per contenere i daini

La foresta del Parco del Circeo sta morendo, via al piano per contenere i daini
di Vittorio Buongiorno
Sabato 23 Ottobre 2021, 05:01 - Ultimo agg. 25 Ottobre, 11:12
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Sono cinque anni che si discute del piano di abbattimento dei daini nel Parco nazionale del Circeo e nel frattempo la foresta sta morendo. Un danno inestimabile. Parliamo della foresta planiziaria, di ciò che rimane dell'antica Selva di Terracina, ne sono stati salvati tremila ettari, la più estesa foresta di pianura d'Italia, una delle uniche rimaste, la memoria storico naturalistica di come era il nostro territorio prima della bonifica, certo, ma indietro nei secoli, come lo videro i viaggiatori del Settecento e ancora indietro per millenni. Un intricato coacervo di lecci, querce, sughere. Il nostro pomone verde. Ma che c'entra la foresta con i daini? E' bastata una visita, ieri mattina, in due punti del Parco nazionale del Circeo per capirlo senza ombra di dubbio e per comprendere quale sia la scala delle priorità.

«Si fa ovunque»

Riavvolgiamo il nastro. Ieri il Parco Nazionale del Circeo ha annunciato come procederà con il famigerato piano di abbattimento dei daini e spiegato perché non può più attendere. Accanto al neo presidente dell'ente parco, Giuseppe Marzano, sono arrivati il presidente di Federparchi, Giampiero Sammuri, e il ricercatore Ispra Antonio Monaco per sottolineare come si stia per fare qualcosa che nel resto del nostro Paese si fa almeno da vent'anni. In Italia sono 59 le specie di mammiferi cacciabili, i daini sono una di queste. In Toscana nell'ultima stagione venatoria ne sono stati abbattuti uccisi 2.180. «Ma questo è un parco nazionale» hanno urlato sui social i difensori delle aree protette. «Da decenni - chiarisce Sammuri - si attua il controllo degli ungulati nelle aree protette».

Cinghiali, mufloni, cervi, daini. Il Circeo quindi non è l'unico parco, ma piuttosto l'ultimo a farlo.


«Nel 2020 nei parchi italiani sono stati abbattuti 4.989 ungulati e altri 1.154 sono stati catturati» ha spiegato Sammuri. In stragrande maggioranza cinghiali (oltre 4.000 lo scorso anno), 309 i cervi (nel solo parco dello Stelvio), 141 i mufloni (nel solo parco dell'arcipelago toscano). Veniamo ai daini. Nel parco regionale della Maremma tra il 2000 e il 2020 sono stati 3.040 i daini abbattuti e 1471 quelli trasferiti altrove. «E il parco della Maremma ha il diploma europeo delle aree protette, che prevede tra i requisiti proprio il contenimento dei daini». Nel solo ultimo anno, tra l'aprile 2020 e il marzo 20s1 sono stati 1384 quelli abbattuti nel Parco di San Rossore.

L'invasione

Quindi è assodato che si fa anche altrove. E' importante capire perché. «I daini, introdotti al Circeo negli anni 80, si riproducono a grande velocità. Nel 2015 erano 1280, cinque anni dopo 1767, il 40% in più. Una stima fatta con termocamere e fototrappole», racconta Ester Del Bove, direttore del Parco facente funzioni. «Ormai hanno una densità di 60 capi ogni 100 ettari, mai registrata in Italia, da allevamento intensivo» commenta Antonio Monaco, ricercaatore Ispra. E devastano tutto quello che trovano. Dal punto di vista botanico mangiano qualsiasi foglia hanno a portata di bocca, da terra a circa due metri. Lasciano solo piante tossiche o le pochissime che non gli piacciono. Mangiano perfino pungitopo o stracciabraghe. Talmente invasivi che non consentono la sopravvivenza di tantissime altre specie, dagli insetti ai piccoli predatori. Fanno tabula rasa. Alzi la mano chi ha visto scoiattoli, lepri, istrici negli ultimi anni in foresta. «Perfino le prateria di ciclamini, un tempo tipiche di questo periodo, sono una rarità» aggiungono le guide del parco, Marco Massimi e Guido Alari.

Sottobosco ok

Ieri per capire lo stato di salute della foresta con e senza daini è bastato fare meno di un chilometro. Alle spalle della direzione dell'ente Parco - una zona recintata dove i daini non riescono ad arrivare - il sottobosco è talmente rigoglioso che lo sguardo si ferma pochi metri oltre il sentiero. Sotto alle querce, ai pini (che sono ormai tutti arrivati vicini alla fine del loro ciclo vitale e stanno cadendo un anno dopo l'altro) a rari eucaliptus, alle sughere e ai cerri la natura è rigogliosissima. «Qui incontriamo tutti i piani di vegetazione - spiega Massimi - a partire da quello arbustivo fini a quello arboreo superiore, lungo i tronchi è presrnte anche uno uno strato lianoso». Se si fa silenzio la natura si sente: è tutto un cinguettare di uccelli e frinire di insetti.

Qui non esiste più

Qualche chilometro più in là, oltre la Litoranea, nel quadrilatero storico della Selva si ha sotto gli occhi il disastro. «Qui qualcosa si è rotto e bisogna intervenire con urgenza» racconta Andrea Monaco. «Siamo ancora in tempo ma non si può tardare oltre».
Lo sguardo affonda tra gli alberi per centinaia di metri. Non esiste più il sottobosco. Non ci sono foglie, rami, muschio. Nulla. A terra solo aghi di pino. A perdita d'occhio. Le prime foglie di qualsiasi pianta sono ad oltre due metri dal terreno. In questo stato di sofferenza un'area di quelle che d'inverno si allagano non ha retto allo stress: ci sono decine di tronchi di alberi morti. «Tutto questo vuole dire fine della biodiversità. Senza piante non ci sono più insetti. Non ci sono più piccoli mammiferi. C'è il deserto». E' per questo che bisogna agire per priorità. La prima è salvare la foresta con le sue piante e i suoi animali. E siccome le querce hanno tempi di rinnovazione molto lenti, bisogna correre. A Castelporziano ci sono voluti 15 anni per risanare le devastazioni dei daini. Il Parco nazionale del Circeo non può più attendere.
Vittorio Buongiorno
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