«Troppo vuoto, capisco le paure dei ragazzi»

«Troppo vuoto, capisco le paure dei ragazzi»
Sabato 20 Febbraio 2021, 05:00
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IL CONCORSO
La rabbia dei ragazzi sta emergendo prepotentemente. Gli omicidi di Emanuele Morganti e Willy Monteiro Duart, le risse al Pincio, a Roma, ma anche a Latina o a Serapo, a Gaeta. E ora a Formia, un altro omicidio. Che sta succedendo? Lo abbiamo chiesto al vescovo di Latina, monsignor Mariano Crociata, che è anche presidente della Commissione episcopale per l'Educazione cattolica, la Scuola e l'Università.
È preoccupato?
«Sì, penso ci sia motivo di essere preoccupati. Si tratta di segnali in medicina si direbbe: di sintomi che devono destare allarme sullo stato di salute psicologica e morale dei nostri ragazzi. Che cosa c'è dietro questi fenomeni? Innanzitutto un malessere, spesso indistinto e non compreso dagli stessi interessati, per le troppe cose che non vanno nella loro vita e per la mancanza di qualcuno che li aiuti e li accompagni ad affrontare le difficoltà e ad elaborare il malessere. Più in profondità, credo si debba cogliere un'insoddisfazione di fondo per il vuoto che sperimentano dentro di sé e fuori di sé. Se provo ad immaginare la loro percezione, anche solo confusa, del futuro, credo che chiunque avrebbe paura».
Lo scrittore Paolo Di Paolo ha detto che «avere vent'anni oggi significa essere sganciati dal peso del Novecento, senza alcuna ipoteca valoriale, uno slancio di libertà che può anche farli smarrire». Condivide?
«Fino ad un certo punto. Non è questione solo di clima culturale, quasi in forma anonima, come se fossimo preda di processi culturali impersonali. Ci sono sempre persone dietro le persone e le loro vicende individuali e collettive. Vale anche per chi ha più di vent'anni che una libertà senza misura fa smarrire. E non solo il Novecento, ma anche questi primi decenni del nuovo secolo sono pieni di adulti dagli slanci di libertà smarriti. Il dramma di tanti ragazzi di oggi è l'assenza di orientamenti e di modelli per trovare motivazioni e prospettive, mentre dentro premono energie inespresse che chiedono di essere incanalate per diventare promesse di vita».
Scuola, famiglia, giornali, ambienti sportivi, che ruoli giocano? Serve un patto educativo? Quali sono le basi di una collaborazione virtuosa?
«Tutti giocano un ruolo, in modo particolare quando si tratta di ragazzi e di giovani. Non esistono agenzie detentrici in esclusiva del potere di formazione delle nuove generazioni. Queste sono soggetto di se stesse, ma spesso questo significa abbandonate a se stesse. È falsa l'idea che ognuno sceglie e si forma da se stesso. Fuori da un processo di trasmissione di un plesso condiviso di valori e di cultura, non crescono persone libere, ma esseri disorientati. Abbiamo parlato anche troppo di patto educativo. Bisogna cominciare a stringerlo, a porre fatti e a fare passi concreti. E la base di un buon patto educativo è la serietà e la rettitudine degli adulti».
Il concorso letterario Cosa è importante per me lanciato dal Messaggero ha dato voce ai ragazzi in questo scenario drammatico. Cosa ne pensa? Scrivere può aiutare?
«È una bella opportunità per i ragazzi della scuola secondaria superiore, perché li invita a riflettere. Soprattutto mostra che da parte degli adulti del mondo del giornalismo, ma anche di tanti altri mondi sociali c'è interesse a loro, c'è preoccupazione e desiderio di vicinanza e di responsabile accompagnamento, come deve essere verso le nuove generazioni. Una iniziativa come questa deve mobilitare non solo gli studenti, ma anche i docenti, i genitori e tutti gli adulti che hanno a cuore il destino degli adulti di domani. E ce ne sono, per fortuna».
Scrivere. Lei da sempre ama ragionare scrivendo. È una abitudine che possiamo trasmettere ai ragazzi?
«Una bella domanda, stimolante. Ogni tanto torna, nel pubblico dibattito, il discorso sulla lettura, e meno sulla scrittura. Ci sono segnali che la loro persistenza è maggiore di quanto si pensi. Con tutto l'apprezzamento che abbiamo per l'universo digitale e le sue potenzialità, un po' di esperienza fa presto a far cogliere l'insostituibilità della lettura e della capacità di mettere su carta pensieri ed emozioni. Si tratta di condizioni e modalità inimitabili per dare forma ordinata ai pensieri e a tutto il mondo interiore: lettura e scrittura inseparabilmente. Se questo vale per un adulto, quanto di più è necessario per chi sta cercando di dare forma alla propria interiorità e alla propria personalità in via di maturazione!»
La preside del liceo Meucci di Aprilia ha detto che i ragazzi sono schiavi dei social e dei Like, quando scrivono di sé pensano a piacere più che a guardarsi dentro. E quindi scrivere, oggi, li allontana da sé.
«Ci sono derive di questo genere, ma proprio lo scrivere unito come dicevo alla lettura serve a uscire dal ripiegamento narcisistico per guardarsi dentro in verità, e cioè nel contesto e nella rete delle relazioni. Per questo, la scrittura da promuovere non è solo quella espressiva di sé, ma anche quella del confronto sulle idee e sui problemi della vita e della società».
La storia di Willy Monteiro ci dice però che esistono modelli positivi capaci di dare la vita per aiutare un amico. Penso anche ai ragazzi impegnati negli oratori e al suo recente appello per il volontariato. Sono segnali di speranza sufficienti?
«Tutte le generalizzazioni sono fasulle. Quella che abbiamo descritto è una tonalità prevalente, ma non esaurisce tutte le tonalità di una tavolozza di colori ricca e varia. In questo senso ci sono due compiti che dobbiamo darci. Incoraggiare e sostenere tutte quelle esperienze e iniziative in cui si vedono ragazzi e giovani davvero fiorire felicemente alla vita. E poi, non avere paura di promuovere nuove realtà e iniziative. Non bisogna avere paura di partire dal poco e dal piccolo. Bisogna andare a scovare i tanti possibili alleati, e associarsi per dare vita a nuovi progetti. I ragazzi ci aspettano all'appuntamento del futuro».
Vittorio Buongiorno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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