«Fondi Covid ai referenti dei Casalesi»

«Fondi Covid ai referenti dei Casalesi»
Venerdì 30 Luglio 2021, 05:01
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L'INCHIESTA
Contributi a fondo perduto. Chiesti, presi e intascati. Quasi diciottomila euro. Come successo a tante aziende a attività commerciali fiaccate dalla pandemia cui il Decreto-Ristori ha tentato di dare una boccata d'ossigeno. Peccato che quei diciottomila euro siano finiti nelle tasche sbagliate. Quelle di un imprenditore la cui società è lo sbocco pulito di soldi sporchi. Che sanno di camorra, e in particolare di clan dei casalesi. Un «referente» di Casal di Principe che ha vissuto e operato a Deruta, per tramite di un'azienda edile che almeno per quattro anni ha partecipato ad appalti pubblici milionari.
Finché l'allora prefetto di Perugia, Raffaele Cannizzaro, ha avuto in mano documenti che indicavano in quell'imprenditore oggi 57enne nato a Casal di Principe e trasferito nel 2013 a Deruta un personaggio contiguo e di fatto in affari con le famiglie dei Casalesi, in particolare con il clan Schiavone. E sulla base di quell'interdittiva, ripresa e ampliata con accurate indagini, gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria di Perugia (diretti dal colonnello Danilo Massimo Cardone e coordinati dal tenente colonnello Antonella Casazza e dal maggiore Michelangelo Tolino) quei 18mila euro li hanno restituiti allo Stato e, indirettamente, a qualche imprenditore o commerciante che ne avrà davvero bisogno.
A raccontare questa verità dietro la facciata dell'imprenditore edile e della sua azienda, non solo i precedenti penali del fratello (anche lui in affari) per, è scritto nell'interdittiva antimafia firmata da Cannizzaro, «turbata libertà degli incanti e illecita concorrenza con minaccia e violenza, riconducibile ad articolata indagine della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, relativa a rapporti intercorsi tra esponenti del cartello camorristico denominato clan dei casalesi, amministratori pubblici e imprenditori operanti prevalentemente nel settore degli appalti pubblici». Ma sul fratello, in qualità di titolare firmatario dell'omonima ditta individuale, risultano «inoltre informazioni antimafia interdittive adottate dalla prefettura di Caserta. In particolare è scritto ancora nell'interdittiva - emergono attività estorsive e corruttive» poste in essere assieme a una terza persona che risulta «affiliato al clan camorristico dei casalesi».
Ma c'è di più. Perché l'imprenditore edile e il fratello finiscono sono finiti nelle intercettazioni ambientali e telefoniche, in cui uomini vicini alla criminalità di Casal di Principe parlano di loro, ma anche nelle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia in cui l'imprenditore viene definito «referente» proprio dei casalesi. Tutti elementi che hanno retto anche all'opposizione all'interdittiva che l'imprenditore campano ha presentato al Consiglio di Stato ma il cui ricorso è stato rigettato.
«Il Giudice per le indagini preliminari ha condiviso l'impianto accusatorio formulato dal pubblico ministero e ne ha accolto la richiesta sottolinea il procuratore capo Raffaele Cantone - disponendo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, della somma indebitamente percepita rinvenibile sui conti correnti e/o depositi intestati alla societa e, in caso di mancato o parziale rinvenimento di liquidita, il sequestro preventivo per equivalente della somma giacente».
Michele Milletti
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