L’amore per gli animali è anche il diritto dei loro padroni di piangerli quando non ci sono più. Con un congedo dal lavoro pagato. Potrebbe accadere presto in Colombia, dove il deputato del Partito liberale Alejandro Carlos Chacon, 48 anni, ha presentato un disegno di legge in base al quale i datori di lavoro sono obbligati a concedere al dipendente che ne faccia richiesta due giorni di ferie retribuite dopo la morte dell’animale. La nuova normativa mira a riconoscere il «legame affettivo tra gli esseri umani e i loro animali domestici, la cui morte può avere un considerevole impatto emotivo sui loro padroni», spiega il politico a El Tiempo.
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Il legame sentimentale
«Alcune persone non hanno figli, ma hanno un animale domestico molto amato con cui sviluppano un legame profondo e fraterno», riflette Chacon.
La situazione in Italia
Il Senato e la Camera dei rappresentanti colombiana è pronta ad affrontare il dibattito, che avrà tempi lunghi. Se la proposta diventerà legge, sarà rivoluzionaria a livello mondiale. A Glasgow, in Scozia, due anni fa, la cameriera ventenne Emma McNulty è stata licenziata perché il giorno dopo la morte del suo Yorkshire si è presa un giorno di ferie. «Non potevo presentarmi a lavoro perché ero troppo devastata e stavo male fisicamente», ha raccontato al Daily Telegraph, sostenendo come un animale domestico abbia la stessa importanza di un membro della famiglia. «È tempo che le aziende lo riconoscano», ha detto. Così ha lanciato una petizione online per chiedere che la legge sul congedo per lutto sia estesa agli animali domestici. In Italia non esiste una norma specifica che regoli il congedo per il decesso del cane o del micio di casa. Un passo avanti è stato compiuto nel 2007 con la sentenza in cui i giudici di Cassazione stabiliscono l’esistenza di un «diritto al permesso retribuito per l’assistenza dell’animale domestico», poiché «la non cura di un animale di proprietà integra il reato di maltrattamento». Il caso sul quale si è pronunciata la Corte riguardava una giovane donna, dipendente presso l’Università la Sapienza di Roma, che aveva richiesto un permesso di due giorni per assistere il suo cane che necessitava di un intervento medico veterinario urgente alla laringe.
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La donna viveva da sola, era l’unica che poteva occuparsi di lui e l’intervento era ritenuto necessario dal veterinario. Dopo il primo rifiuto da parte del datore di lavoro di concedere il permesso, la donna si è rivolta alla Lega antivivisezione per avere assistenza legale, ottenendo il permesso retribuito. Secondo la Lav, infatti, se l’animale non riceve le giuste cure è persino configurabile il reato di abbandono. Il principio affermato dalla Cassazione, però, non è una rete a maglie larghe e il diritto al permesso di lavoro retribuito può essere riconosciuto in particolari circostanze. Spetta solo se il lavoratore vive da solo e non ha possibilità di delegare l’assistenza ad altri. Deve inoltre essere in possesso di un certificato veterinario che attesti la malattia dell’animale, dimostrare la necessità di prestare cure veterinarie o accertamenti indifferibili all’animale, non avere alternative per il trasporto o non poter fornire diversamente la necessaria assistenza.
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