Bill Gates, dal Coronavirus ai paesi poveri:
quando un genio non conosce vecchiaia

Bill Gates
Bill Gates
di Francesco Malfetano
Lunedì 6 Aprile 2020, 10:32
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Quando nel 2015 Bill Gates parlò di una pandemia come del «disastro più prevedibile per l’umanità» nell’immediato futuro, nessuno gli diede davvero retta. Cinque anni dopo però, con più di 1,2 milioni di persone contagiate da Covid-19 e circa 65mila morti in tutto il mondo, quelle sue stesse parole hanno trovato più forza e sono rimbalzate sulle pagine di molti giornali. Eppure, dietro quel timore condiviso in un intervento da poco più di 8 minuti nel corso di una conferenza TED, non c’era un complottista animato da uno spirito antiscientifico ma una delle menti più brillanti dell’ultimo secolo.
Un pioniere della tecnologia - massima espressione della Silicon Valley insieme al rivale di sempre Steve Jobs - che basava le sue dichiarazioni su un modello algoritmico simile a quello che ha fatto la sua fortuna negli affari. Vale a dire su un’intuizione supportata da una complessa rete di elaborazioni matematiche e di simulazioni incrociate che hanno dimostrato in che modo un «virus altamente contagioso», paragonabile all’influenza spagnola del 1918, si sarebbe diffuso nel mondo moderno. «Entro 60 giorni sarebbe praticamente in tutti i centri urbani del mondo» disse. Impossibile dargli torto oggi. D’altronde non è mai stata un segreto la capacità analitica dell’ex bambino prodigio «che sorrideva continuamente», come raccontato dal documentario Netflix diretto dal premio Oscar Davis Guggenheim, Dentro la mente di Bill Gates, e che nel 1970, a soli 15 anni, insieme al futuro co-fondatore di Microsoft Paul Allen, sviluppò un software che monitorava il traffico a Seattle.
E non lo è soprattutto ora che la sua Microsoft ha spento 45 candeline, il 4 aprile, conservando il titolo di più grande compagnia di software per pc al mondo. Fin dall’inizio però il sogno di Gates era di portare un computer su ogni scrivania e in ogni casa, ed è più o meno ciò che ha fatto.
In pratica se lo smartworking sta permettendo all’economia di non franare completamente sotto il peso della quarantena da Coronavirus, oggi lo si deve proprio a Gates e alle centinaia di menti brillanti cresciute insieme alla sua visione dell’imprenditorialità che ha iniziato a popolare la West Coast americana (da Seattle alla Silicon Valley) fin dagli anni ’80. E cioè da quando con un’altra intuizione capace di anticipare i tempi, Gates allargò i suoi affari all’Europa, creò Word, un programma di scrittura semplificato, e ne allegò una demo a una rivista di pc, su floppy disk. Da lì in poi è stata la nota escalation di successi degli anni ’90. Una rapida evoluzione che prima lo ha reso l’uomo più ricco del mondo (un ruolo che oggi scambia spesso con Berard Arnault e Jeff Bezos di Amazon che viene proprio da quella West Coast) e poi a una serie di passi indietro imprenditoriali ma in avanti nella vita.
A gennaio del 2000 Gates, mentre lasciava il ruolo di Ceo per concentrarsi sulle «strategie di lungo periodo», ha dato vita alla Bill & Melinda Gates Foundation, la più grande no-profit privata al mondo. Una fondazione da 50,7 miliardi di dollari che oggi dirige con la moglie e l’economista Warren Buffet provando a migliorare l’assistenza sanitaria, espandere le opportunità educative e ridurre la povertà estrema nel mondo. Nel tempo gli impegni filantropici lo hanno assorbito sempre di più fino a quando, pochi giorni fa, il 13 marzo, ha preso la decisione epocale di lasciare anche il cda di Microsoft perché «Ora ciò che conta di più è quello che faremo dopo». E il passo successivo dell’uomo da 110 miliardi di dollari è «fare di più per la salute globale» usando non solo i suoi soldi (ha appena annunciato un finanziamento di diversi miliardi di dollari per 7 progetti di vaccino anti Covid-19) ma soprattutto la capacità analitica che lo hanno reso il pioniere che conosciamo.
Così, il 1 aprile scorso, mentre gli Stati Uniti iniziavano a fare i conti sul serio con l’emergenza ha dettato la linea definendo un piano in 3 punti che passa dal lockdown per tutti, dall’uso più massiccio di test rapidi e dall’ottenere un vaccino sicuro ed efficace nei prossimi 18 mesi.
Nulla di rivoluzionario si dirà anche stavolta. Farlo però «è solo metà della battaglia» ha spiegato Gates, perché «per proteggere tutti serviranno miliardi di dosi» e migliaia di tentativi che possono essere realizzati solo con dispositivi tecnologici unici su cui bisognerebbe già investire da oggi pur «sapendo che alcuni non verranno utilizzati». Questa volta, forse, sarebbe meglio dargli retta. 

 
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