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Abdul Ghani Baradar, chi è il leader dei talebani liberato dagli USA tre anni fa

Abdul Ghani Baradar, chi è il leader dei talebani liberato dagli USA tre anni fa
Abdul Ghani Baradar, chi è il leader dei talebani liberato dagli USA tre anni fa
di Alessandro Strabioli
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 16 Agosto 2021, 10:23 - Ultimo agg. : 28 Settembre, 11:51
4 Minuti di Lettura

Abdul Ghani Baradar, il leader talebano liberato da una prigione pakistana su richiesta degli Stati Uniti meno di tre anni fa, è emerso come vincitore indiscusso della guerra dei 20 anni. In una dichiarazione televisiva sulla caduta di Kabul, Baradar ha affermato che la vera prova dei talebani fosse solo all'inizio e che tutti avrebbero dovuto servire con dedizione e sacrificio il proprio paese. Il ritorno al potere del mullah sembra dunque incarnare l'incapacità dell'Afghanistan di sfuggire alle sanguinose catene del passato e la storia della sua vita, in perenne oscillazione tra guerra e misticismo, somiglia esattamente a quella del conflitto di questo territorio.

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Nato nella provincia di Uruzgan nel 1968, Baradar ha combattuto nei mujaheddin afgani contro i sovietici negli anni '80. Dopo che i russi furono cacciati nel 1992 e il paese cadde in una sanguinosa guerra civile, Baradar istituì una madrasa a Kandahar con il suo ex comandante e presunto cognato Mohammad Omar. Insieme, i due mullah hanno fondato i talebani, un movimento guidato da giovani studiosi islamici dediti alla purificazione religiosa del paese e alla creazione di un emirato.

Alimentati dal fervore religioso, dall'odio diffuso per i signori della guerra e dal sostanziale sostegno dell'agenzia Inter-Services Intelligence (ISI) del Pakistan, i talebani sono saliti al potere nel 1996 dopo una serie di straordinarie conquiste di capoluoghi di provincia che hanno colto di sorpresa il mondo. Baradar, il vice del mullah Omar, ritenuto uno stratega molto efficace, fu artefice principe di quelle vittorie.

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Baradar ha svolto una serie di ruoli militari e amministrativi nel regime quinquennale dei talebani: difatti, quando è stato estromesso dagli Stati Uniti e dai suoi alleati afghani, era vice ministro della difesa. Durante i 20 anni di esilio, Baradar aveva la reputazione di essere un potente capo militare e un sottile operatore politico. I diplomatici occidentali arrivarono a considerarlo come l'ala della Quetta Shura – la leadership raggruppata dei talebani in esilio – che era più resistente al controllo dell'ISI e più suscettibile di contatti politici con Kabul.

La CIA lo ha rintracciato a Karachi nel 2010 e nel febbraio dello stesso anno ha convinto l'ISI ad arrestarlo. «La cattura di Baradar si è basata su una valutazione bene precisa: la sua pericolosità come leader di guerra era ben più alta rispetto alla possibilità di un suo ruolo attivo nella ricerca dei una tregua», ha detto un ex funzionario. 

 

Nel 2018, tuttavia, l'atteggiamento di Washington è cambiato e l'inviato afgano di Donald Trump, Zalmay Khalilzad, ha chiesto ai pakistani di rilasciare Baradar in modo che potesse condurre i negoziati in Qatar, sulla base della convinzione che si fosse potuto accontentare di un accordo di condivisione del potere. «Non avevo mai visto alcuna reale dimostrazione da parte sua di quella volontà, solo una sorta d'idea mitica fatta di responsabilità e saggezza», ha detto l'ex funzionario.

Baradar ha firmato l'accordo di Doha con gli Stati Uniti nel febbraio 2020, in quello che l'amministrazione Trump ha salutato come una svolta verso la pace, ma che ora sembra una semplice tappa verso la vittoria totale dei talebani. L'accordo tra Washington e i talebani avrebbe dovuto essere seguito da colloqui di condivisione del potere tra i gruppi di Baradar e il governo di Kabul di Ashraf Ghani. 

Quei colloqui sono naufragati, ed ora è chiaro che Baradar stava solo prendendo tempo, aspettando che gli americani abbandonassero il campo per preparare un'offensiva. La vita, a Baradar, ha insegnato la pazienza, ed è stata questa, sospinta da un'ideale mistico, quasi di predestinazione, a dargli la fiducia nella vittoria finale.

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