Gabriele Donnini, il tatuatore dei vip dal carcere alle opere d'arte

Gabriele Donnini, il tatuatore dei vip dal carcere alle opere d'arte
di Cristiana Mangani
Mercoledì 14 Ottobre 2020, 07:38
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Il carcere prima di tutto, quella sensazione di vita sospesa, di punizione e non di redenzione o recupero. Un incubo che si rinnova ogni giorno nei pensieri, e che ora Gabriele Donnini, uno dei tatuatori più famosi di Roma, finito in un carcere di massima sicurezza e poi assolto con formula piena dal coinvolgimento nell'omicidio del broker Silvio Fanella (considerato il cassiere di Gennaro Mokbel), ha voluto raccontare in un'opera dura, diretta, come è stata tutta la sua vita.

Ego te absolvo, il nome scelto per la scultura che verrà presentata per la prima volta in esclusiva nella settimana capitolina più importante dedicata all'arte contemporanea: Rome art week che si svolgerà nella Galleria Restelliartco, dal 26 al 31 ottobre. Una croce, delle sbarre, un teschio, fissato insieme con la tecnica giapponese del Kintsugi, nella quale si utilizza la polvere d'oro per riparare gli oggetti. «Ogni essere umano che abbia vissuto nel fuori mondo ha delle venature in oro diverse tra loro», spiega. E per fuori mondo intende quel carcere dove è stato rinchiuso per circa un anno, prima venti giorni in isolamento a Regina Coeli, poi 24 in cella di sicurezza a Lanciano, in un penitenziario dove ci sono solo mafiosi. Fino all'assoluzione dal reato più grave, nel 2017.

«Non c'è riabilitazione né riscatto in luoghi così - dice Donnini - Non hai l'ora d'aria, non puoi lavarti, niente televisioni, giornali, niente specchi. Ha idea di cosa sia non potersi specchiare? Se non si prova, non si capisce. È una forma di rigore nei confronti di tutta quella gente che si pensa coinvolta in una cosa e che si spera di fare parlare». Lui ci è finito dentro per amicizie passate che non lo hanno aiutato. In cella, invece, ha avuto un detenuto che lo ha sostenuto tanto. «Continuo a sentirlo - racconta - Gli voglio un gran bene.

Chi sta rinchiuso lì è dimenticato. Il carcere dovrebbe riabilitare, io credo che non lo faccia proprio».


IL TACCUINO
Nei giorni della detenzione ha riempito le pagine di un taccuino con le frasi copiate dalle pareti. E ora quelle parole ricoprono la superficie del teschio: Amo Mamma, la scritta che nel tatuaggio carcerario fatto a croce diventa un modo per chiedere perdono alla propria madre, Don't cry for me, The Fall of a man, Je ne regrette rien. «Un'opera - descrive ancora Donnini - dedicata alla mia assoluzione. Che vuole dare voce a chi, in quelle quattro mura, ha odiato, si è disperato, ha giurato vendetta, ha avuto fede o si è convertito, abbassando la testa davanti a quella croce che nell'opera è simbolicamente appoggiata alle sbarre».


IL VOLONTARIATO
Prima del carcere, il tatuatore aveva già fatto volontariato negli istituti di pena con progetti a tutela dei bambini rinchiusi con le madri, o corsi specialistici, come quello per tatuatori, ora bloccato dal Covid. Contro quella detenzione che lui definisce «ingiusta», i suoi avvocati hanno presentato istanza, i giudici gli hanno dato torto: le sue amicizie potevano indurre i magistrati in errore. Niente da fare, quindi. Ricominciare non è stato facile: lo studio dietro Campo de' Fiori era sempre pieno di attori, di gente dello spettacolo, e anche di tanti ragazzi ai quali i genitori hanno detto: «Ma che vai da uno che è finito in galera?».

«Mio figlio non ce lo manderei», confessa. Chiuso per un anno durante la detenzione, ha riaperto con fatica. Nonostante la direzione del carcere gli avesse vietato di fare tatuaggi all'interno dell'istituto, è riuscito a costruirsi una macchinetta con uno spazzolino da denti, il motore di un walkman e aghetti. E alla fine ha tatuato il nome della fidanzata sul braccio di un mafioso. Ora è libero, ma la ferita resta aperta: «La galera è quel posto dove si scrive sto bene con le lacrime agli occhi. In galera muoiono tutti, pochi risorgono».
 

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