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Vialli, la dottoressa Milanetto era nell'équipe che ha operato l'ex campione: «Ricordo ancora quello sguardo»

La dottoressa di Padova: "Vialli un esempio e un modello per altri pazienti"

Vialli, la dottoressa Milanetto era nell'équipe che ha operato l'ex campione: «Ricordo ancora quello sguardo»
Vialli, la dottoressa Milanetto era nell'équipe che ha operato l'ex campione: «Ricordo ancora quello sguardo»
di Nicola Benvenuti
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 13 Gennaio 2023, 08:16 - Ultimo agg. : 14 Gennaio, 15:50
4 Minuti di Lettura

«Gianluca Vialli, che ho avuto modo di seguire nella degenza del 2017 a Milano, rappresenta un esempio ed un modello anche per i pazienti che vedo ogni giorno nell'ambulatorio specifico che si prende cura degli ammalati di pancreas in clinica a Padova». A parlare così è la dottoressa Anna Caterina Milanetto, 38 anni, originaria di Campagnola di Brugine, medico chirurgo e ricercatrice alla Chirurgia generale del Policlinico diretta dal professor Claudio Pasquali, chirurgo pancreatico. La dottoressa Milanetto è un medico con un ricco curriculum professionale. Nonostante la giovane età, è una dei più esperti dottori padovani in tema di tumore al pancreas, grazie all'esperienza maturata in Azienda ospedaliera, dove ora lavora, ma anche in centri di eccellenza italiani e stranieri.

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Come ha avuto modo di conoscere Gianluca Vialli?

«Mi trovavo a Milano, nel novembre 2017, perché ero assegnataria di una borsa di studio di alta specializzazione, in gergo tecnico una fellowship all'Istituto Humanitas di Milano, per la parte del pancreas, nel reparto diretto dal professor Alessandro Zerbi. Ero una delle componenti dell'equipe che operò Gianluca Vialli, ma di quel piccolo gruppo nessuno, se non il primario e il suo aiuto, sapeva che si stava prendendo cura di un paziente illustre. La mia sorpresa fu grande quando il professor Zerbi ci avvisò, il giorno dopo l'intervento, che saremmo andati in visita al giocatore, che era il paziente che avevamo visto in sala operatoria».

Perché rimase sorpresa?

«Perché Vialli era una persona controllata, un atleta di prim'ordine, sicuramente con uno stile di vita sano, eppure la malattia lo aveva colpito lo stesso, però l'individuazione del tumore ad uno stadio iniziale aveva permesso l'operazione che ebbe anche un esito favorevole. Nel caso del pancreas sono solo il 20% i pazienti operabili».

Ricorda qualcosa dell'incontro con il campione di calcio?

«Lo sguardo profondo e al tempo stesso preoccupato di Vialli che cercava dal professor Zerbi che era accanto al suo letto qualche segnale di rassicurazione, quegli occhi denotavano al tempo stesso timore e speranza».

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C'era qualcuno con lui?

«Sì la moglie, una donna molto bella, educata, discreta con il personale dell'ospedale milanese, che non lo lasciava un attimo e che è stata fondamentale per il suo recupero».

Vialli si fermò per molto tempo all'Humanitas?

«Diversi giorni sicuramente, qualcuno prima e alcuni dopo l'operazione. Però solo quello necessario a recuperare le forze dopo l'intervento. Intervento che era stato impegnativo e che si risolse positivamente con l'asportazione completa e totale del tumore al pancreas. Poi giustamente tornò in Inghilterra, dove lo attendeva il resto della famiglia, che è fondamentale nell'affiancare un malato oncologico per le cure successive, chemio o radioterapia».

Ha avuto altri contatti con Vialli?

«No nessun contatto diretto, però sono rimasta colpita dall'atteggiamento positivo con cui ha vissuto il tempo successivo, perché ha saputo dare il giusto valore alle cose che contavano nella sua vita, nella consapevolezza che la sua non sarebbe stata comunque una esistenza longeva, ma è riuscito ad avere una vita normale e piena di impegni, quelli che davvero contano, fino a pochi mesi fa».

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Nella sua attività di medico esperto in pancreas torna la figura di Gianluca Vialli nell'approccio con pazienti che sono affetti dalla stessa tipologia di tumore?

«Assolutamente sì, lo trovo un valido modello per affrontare la malattia. Oltre all'attività di reparto, svolgo anche quella ambulatoriale, dove vedo ogni giorno, persone che sono affette da tumore al pancreas, ma anche soggetti che hanno una familiarità con questa malattia, che come detto è operabile solo per il 20% dei casi, anche se la scienza sta facendo progressi. Proprio a Padova con l'Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas abbiamo creato un registro che comprende persone che possono essere maggiormente soggette alla malattia e che monitoriamo periodicamente, perché l'individuazione precoce del male è fondamentale per la cura. Veneto e Lombardia e il Nord in generale hanno una frequenza maggiore delle altre regioni italiane. Vialli se ne accorse perché ebbe un attacco itterico, il suo coraggio e la sua vicenda sono sicuramente uno stimolo per molti pazienti, che mi dicono: se si è ammalato lui che era un grande campione ed è riuscito a sconfiggere il tumore al pancreas, perché non posso farcela anche io? E davvero penso sia da indicare a modello per tante persone che combattono contro la malattia il suo approccio responsabile».

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

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