Zerocalcare, dal Tiburtino alla Fabbrica del vapore a Milano: «L'ansia è ovunque»

Il romano re delle graphic novel presenta la grande mostra personale appena inaugurata alla Fabbrica del Vapore: «I miei personaggi sono diventati come tutti noi dopo il lockdown»

Zerocalcare, dal Tiburtino alla Fabbrica del vapore a Milano: «L'ansia è ovunque»
di Valeria Arnaldi
Sabato 17 Dicembre 2022, 07:29
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«Il meteorite non sta cadendo. È caduto». Così Zerocalcare, nome d'arte di Michele Rech, classe 1983, aretino per nascita, ma romano per definizione, crescita, vita e filosofia, nonché internazionale per sguardo e successo, racconta la suggestione da cui nasce la sua grande mostra personale Zerocalcare. Dopo il botto, prodotta da Arthemisia, ideata da Silvia Barbagallo e curata da Giulia Ferracci, ospitata da oggi fino al 23 aprile alla Fabbrica del Vapore, a Milano.


INADEGUATEZZA
In questo modo, un po' di Roma e di romanità va in trasferta e conquista anche il nord Italia. «Come vivo questa cosa? - ci confida il fumettista - Male, come tutte le cose che faccio, con un'ansia che mi ammazza. La questione cittadina, però, alla fine non la sento in modo particolare. Tutto sommato, il minimo comune denominatore per agganciarsi alle mie cose non è né anagrafico, né geografico, ma più che altro è in una specie di inadeguatezza che uno si porta dentro». E nonostante i diciotto volumi pubblicati, tradotti in più lingue, cult sin dal primo, La profezia dell'armadillo - diventato un film - e la serie Netflix Strappare lungo i bordi, quella sensazione Zerocalcare la conosce, riconosce e, soprattutto, illustra bene. Oltre cinquecento i lavori esposti, tra tavole originali, video, bozzetti, illustrazioni, un'opera site specific e quant'altro. Tutto per raccontarsi e raccontarci, tra politica, società, resistenza collettiva, buone intenzioni, forse, e mancati risultati. Perché, durante il lockdown, si diceva che poi saremmo diventati più buoni, ma non è stato così. Anzi.

 


LE FERITE
«I miei personaggi sono diventati come tutti quanti noi, con le ferite frutto dell'isolamento che abbiamo vissuto e che, in qualche modo, ci ha frammentato. Un po' tutti abbiamo formato le nostre opinioni non più con incontro e mediazione, ma sui social da soli in casa e ho l'impressione che ciò abbia favorito una radicalità di cui non devi rendere conto a nessuno».

Attraverso l'Armadillo, il Cinghiale, il Secco, Lady Cocca e ovviamente se stesso, nonché i tanti reportage, dunque, ci invita a spogliarci dei falsi buonismi e guardarci allo specchio. «Uno scambio di opinioni oggi diventa una guerra santa, gli uni contro gli altri. Questo ha inciso tantissimo sulle relazioni tra le persone». Eccolo, allora, il meteorite caduto. Entrando in mostra si viene proiettati in una città post-apocalittica, che rimanda sia all'idea di comunità, sia alla nostra dimensione interiore.

Dietro le porte chiuse delle case, oltre le finestre oscurate, al di là delle paure, letteralmente mostruose, si vedono, però, fiammelle di speranza. Accanto alle tavole realizzate durante il lockdown, ci sono i grandi temi dei suoi lavori, dalla resistenza del popolo curdo alle proteste dei lavoratori per condizioni di vita più dignitose, dal ruolo delle donne alle ingiustizie sociali. Si va dai disegni sul caso di Giulio Regeni all'illustrazione per l'anniversario della strage di Piazza Fontana, da La memoria è un ingranaggio collettivo a tavole come La Rabbia e oltre.


«Questa mostra potrebbe, in fondo, finire in tragedia - dice, parlando delle sue ansie - nel percorso ci sono materiali divisivi, che chi ha visto la mia serie su Netflix non si aspetta. Ora, potrebbe pensare: Non leggerò mai più nulla di suo». Quali i temi che lo preoccupano di più? «In generale, ho lettori che, di solito, la pensano perlopiù come me. Per molti, però, quello del carcere è un argomento molto difficile. Se dici che vi dovrebbero essere garantiti i basilari diritti umani, la gente risponde ancora mica è un hotel a cinque stelle».


SANTI PROTETTORI
Non mancano tavole sul suo mondo di affetti e amici. E c'è una sezione sui santi protettori. «Mi viene continuamente chiesto chi sono i miei eroi, modelli, santi. Alla fine, un giorno, ho deciso: sono questi. C'è Kurt Cobain, che per me è l'incarnazione degli anni Novanta. E c'è Gaetano Bresci: amo le storie di vendetta e l'idea di quello che parte dall'America per uccidere il re, in modo da vendicare la strage compiuta da Bava Beccaris che sparò sulla folla per conto del sovrano, mi sembra una storia letteraria bellissima».


Tra i santi, inoltre, personaggi da film - «C'è il tirannosauro di Jurassic Park» - e altri ben più vicini. «Ci sono anche i miei amici che, disprezzando il mio lavoro in qualche modo, sono quelli che mi tengono con i piedi per terra, perché il modo peggiore di prendere brutte strade è circondarsi di leccaculo. Per me, avere intorno persone che non attribuiscono alcun valore al tuo lavoro è sempre una cosa buona». Cosa ci sarà dopo la mostra? «Non so neppure se ci sarà un dopo, in questo momento - afferma, con il sorriso - potrebbe uscire, postuma, la seconda serie su Netflix l'anno prossimo, non so ancora quando ma spero presto». Questo mondo non mi renderà cattivo è il titolo, tra proposito, promessa e mantra.
Valeria Arnaldi
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