Beni confiscati alla camorra,
ecco perché serve un cambio di passo

Beni confiscati alla camorra, ecco perché serve un cambio di passo
di Enrico Tedesco *
Lunedì 11 Ottobre 2021, 14:00
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Le riflessioni dell'amico Carlo Borgomeo sul tema dei beni confiscati, pubblicate sul “Mattino” nei giorni scorsi, sono senza dubbio alcuno ampiamente condivisibili.

I patrimoni sottratti ai clan possono diventare uno straordinario volano di sviluppo dei territori. E di creazione di posti di lavoro. Soprattutto nel Mezzogiorno. Ma perché ciò accada, occorre un cambio di passo, che vada a qualificare lo sforzo profuso in tutti questi anni dall'Agenzia nazionale, dalle Regioni, dai Comuni e da tutti gli attori coinvolti nella filiera. Restituire alla collettività ciò che apparteneva ai boss rappresenta uno schiaffo alle mafie e ha sicuramente un grande impatto da un punto di vista simbolico e sul piano dell'inclusione sociale, ma soprattutto “conviene”. Ecco perché la Fondazione Polis, il CNEL e il mondo universitario stanno programmando uno studio scientifico con l'obiettivo di valutare l'incidenza del riuso dei beni confiscati sul versante economico, sociale e occupazionale. E nei primi mesi del 2022 promuoveremo un grande momento di confronto pubblico di rilievo nazionale proprio qui a Napoli, finalizzato a dare il giusto spazio alle buone pratiche di gestione, ma anche a fare il punto sulle inevitabili criticità che caratterizzano quest'ambito, ben sintetizzate dalle parole di Borgomeo, alle quali mi permetto di aggiungere delle piccole considerazioni. Da anni sosteniamo l'esigenza di destinare una quota del Fondo Unico Giustizia alla valorizzazione dei beni confiscati. Nello stesso tempo occorre fare in modo che l'intera filiera della confisca sia più snella e dinamica, prevedendo che l'Agenzia Nazionale sia supportata in misura strutturata da Fondazione con il Sud, Fondazione Polis e altre analoghe realtà.

In aggiunta, il piano strategico nazionale per il riuso dei beni confiscati andrebbe trasformato in un programma nazionale operativo, che veda, in un'ottica integrata, il protagonismo delle Regioni e degli enti strumentali dedicati al tema in questione. Andrebbero poi valorizzati quei beni cosiddetti “esemplari”, caratterizzati da un'importante storia criminale, significative prospettive di sviluppo e di occupazione e da una forte autosostenibilità. In tal senso sono già attivi, presso i tavoli istituzionali nazionali, importanti percorsi per Palazzo Fienga a Torre Annunziata, il complesso La Balzana a Santa Maria La Fossa e il borgo termale di Contursi Terme, tre strutture che, adeguatamente riconvertite, possono davvero incidere sullo sviluppo di un'economia legale e solidale in tutto il territorio campano e creare nuovi posti di lavoro.

Infine, i 300 milioni stanziati nel PNRR per la valorizzazione dei beni confiscati rappresentano una grande occasione. Ma, tenuto conto che si tratta di fondi solo infrastrutturali, si rischia di vanificarla se non si investe sulle capacità di progettazione e gestione degli enti pubblici e degli enti del terzo settore.

Serve, in definitiva, attuare una discontinuità nella continuità: guardare al futuro con nuove prospettive per dare ulteriore valore al lavoro svolto in tutti questi anni.

* Segretario Generale Fondazione Polis

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