Ecco perché l'educazione alla legalità deve essere ricalibrata

Ecco perché l'educazione alla legalità deve essere ricalibrata
di Diego Belliazzi *
Venerdì 24 Giugno 2022, 20:00
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Se Raffaele Cutolo risulta più conosciuto di don Giuseppe Diana e la mitologia da fiction ha più appeal della vita vera di chi combatte le mafie, è segno che l’educazione alla legalità deve essere ricalibrata. Alle icone pop del malaffare va contrapposto con maggiore forza un lavoro capillare di destrutturazione dell’immaginario deviato e deviante, che può realizzarsi anche contrapponendogli la conoscenza delle storie positive delle vittime innocenti di mafia e camorra. Sono loro i veri eroi da far conoscere e da iconizzare.

Hanno fatto molto discutere gli esiti del questionario somministrato agli studenti di diverse scuole napoletane sul grado di conoscenza del fenomeno camorra, dei carnefici e delle vittime, e sul giudizio di valore dei comportamenti devianti. Rappresenta uno spaccato e, come sempre in questi casi, bisogna saper leggere i dati, valutarne la loro parzialità e, soprattutto, contestualizzarli.

Innanzitutto, verrebbe da pensare a quale esito saremmo giunti 40 anni fa, a quali sarebbero state le risposte alle stesse domande. Io penso che sia innegabile che passi in avanti siano stati fatti in questi anni, soprattutto nell’ultimo ventennio, su tutti i piani dell’intervento educativo, didattico e pedagogico, e che gran parte del merito vada riconosciuto alla scuola e alle migliaia di insegnanti e studenti che hanno intrapreso percorsi di educazione alla legalità. Non si può volgere lo sguardo all’indietro ricordando con nostalgia i movimenti studenteschi degli anni ’80, dimenticando però lo stato di sostanziale isolamento in cui questi si muovevano e una diffusa impermeabilità della gran parte delle scuole ai temi via via divenuti sempre più patrimonio di massa e più diffusa cultura ed educazione alla legalità. L’ultimo numero della rivista “Infiniti Mondi” diretta da Gianfranco Nappi (“Quei ragazzi che sfidarono camorra, sacra corona unita, ‘ndrangheta e cosa nostra, a cura di Leandro Limoccia) tratteggia nitidamente le caratteristiche dirompenti di quel movimento (del quale mi onoro di aver fatto parte ed averne avute responsabilità di direzione per una fase), ma sottolinea la forza del presente e si interroga su quali forme società politica ed istituzioni potranno assumere per continuare la sfida alle organizzazioni criminali. Certo, si dirà che c’è tanto ancora da fare, e non si può non convenire con questa conclusione. Sarebbe sbagliato e controproducente però negare il lavoro svolto nelle scuole: si tratta del lavoro quotidiano svolto da Libera dal 1995, dall’associazione Annalisa Durante, da una rete di associazioni e fondazioni come la nostra che operano da sempre con gli studenti e nei territori.

Anche durante quest’ultimo anno scolastico, in piena pandemia, tante iniziative hanno visto protagonisti insegnanti e studenti, che hanno lavorato per rafforzare il valore della memoria. Scuole primarie e istituti secondari hanno prodotto elaborati, poesie, opere artistiche, progetti multimediali, performance canore, coreutiche. Una ricchezza che non può essere dispersa, né frustrata in nome del “non è cambiato nulla”, perché, semplicemente, non è vero.

Tutto ciò, tuttavia, non è bastato, se le immagini di un camorrista, peraltro morto in carcere, solo e dissennato, vengono innalzate a simbolo positivo. È una sfida, una provocazione? Certo.

A questo punto, quindi, va alzata l’asticella della sfida, e rispondere sullo stesso terreno. Far capire che i veri eroi sono altri; che sono quelli che si impegnano a rendere il nostro mondo migliore, a combattere ad armi impari le mafie, vere responsabili di una bassa qualità della vita.

Il vero salto di qualità sarà rendere strutturale il curricolo della legalità di storia contemporanea delle nostre terre. Far conoscere le storie positive delle vittime innocenti e ricordarle sempre. Intitolare loro un’aula, un’aiuola, un plesso, un istituto. Costringere gli studenti ad interrogarsi su chi fossero e cosa li ha strappati all’affetto dei cari, a quale dovere adempivano e quali diritti dei più deboli difendevano, quali sogni avevano e quanto amavano la propria terra. Deve essere realizzato un percorso costante di educazione civica alla legalità, costruito da docenti impegnati in questi anni su questi temi e che, forti di questa esperienza, possano mettere a disposizione delle scuole campane un modello “adottabile”, ma anche integrabile e/o modificabile, da ogni scuola, che segni l’inizio di una fase strutturata di questi percorsi.

Intanto, come Fondazione Polis, da anni impegnata nell’aiuto e nella presa in carico dei familiari delle vittime innocenti di reato, invieremo a tutte le scuole coinvolte nel questionario de “Il Mattino” quattro volumi promossi dalla nostra Fondazione e scritti da Raffaele Sardo; la tetralogia delle storie di donne e uomini, vittime innocenti della criminalità, e del percorso di memoria e riscatto portato avanti dai loro familiari. Quattro volumi per conoscere e comprendere una realtà viva e bella che si contrappone alla mitologia criminale.

«La scuola in questi anni è stata avanguardia decisiva nell’affermazione della cultura della legalità, ma ha pagato il prezzo di una disciplina senza uno statuto scientifico e parametri metodologici accreditati, e dunque esposta ad un rischio di inefficacia nel lungo periodo…»(Nando dalla Chiesa)

E, tolto il periodo degli anni ’90, in cui gli studenti dell’allora movimento anticamorra raccolsero la sfida della ricostruzione politica dopo le macerie di Tangentopoli, guidando i Comuni verso una rinascita riconosciuta oramai a tutte le latitudini, resta alla fine una domanda: «Come è possibile che nonostante questo grande sforzo pedagogico collettivo il paese appaia oggi corrotto come prima se non più di prima? Quali i limiti principali di questa esperienza?...»

Queste sono peraltro le conclusioni e l’interrogativo riportati in una ricerca di qualche anno fa dall’Osservatorio sulla criminalità dell’Università di Milano, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione. La ricerca, coordinata dal prof. Nando dalla Chiesa, prova a dare risposte all’interrogativo finale, e su questo lavoro varrebbe la pena aprire, chiamando quei ricercatori e lo stesso Nando dalla Chiesa ad un momento di confronto con il complesso della comunità scolastica e scientifica campana, con tutti coloro che hanno a cuore il destino delle nostre terre e delle sue giovani generazioni.

* Dirigente Scolastico, Fondazione Pol.i.s.

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