Napoli: il grido della Fondazione Polis «La Camorra non vale niente»

Napoli: il grido della Fondazione Polis «La Camorra non vale niente»
di Enrico Tedesco
Lunedì 8 Agosto 2022, 15:59
9 Minuti di Lettura

L'estate sembra non dare tregua alla cronaca, una cronaca che vede ancora al centro vittime innocenti e giovani, in una spirale di violenza con la quale, purtroppo, spesso Napoli e l'intera Campania viene erroneamente accomunata. Dalla faida di Ponticelli che in poche ore ha provocato due uccisioni, tra le quali quella di Antimo Imperatore, onesto lavoratore, e il ritorno all'utilizzo delle bombe, sino alle ultimissime vittime, per fortuna ferite, che l'escalation di violenza minorile sta provocando, in particolar modo il ragazzo di quindici anni ferito in una serata della cosiddetta “movida” del capoluogo campano e la giovane di 17 anni colpita ad Acerra. Abbiamo ascoltato il grido delle loro madri, l'incredulità per quanto accaduto, voci che richiamano le tante altre voci dei familiari delle vittime innocenti, cadute nella paradossale mietitura di sangue che sembra avvenire nella stagione più luminosa.

Abbiamo inoltre dovuto constatare come sopravviva e in alcuni casi si espanda un sostrato criminale in cui la famiglia è protagonista al negativo. Ne è la prova la recente inchiesta della Procura di Torre Annunziata che ha fatto luce su una rete di spaccio che utilizzava bambini per consegnare le dosi, costretti dai propri genitori a loro volta spacciatori, un’inchiesta che vede anche le madri coinvolte con la oramai immancabile dose di delirio social, con foto che esaltano le somiglianze tra padri e figli. Cronache non dissimili, se non del tutto uguali, dalle denunce fatte quarant’anni fa da Giancarlo Siani sulla realtà dei “muschilli”.

A noi, come fondazione Polis, è demandata la cura di coloro che hanno subito una perdita violenta, e la memoria di chi è stato ucciso. Ebbene, soltanto a luglio sono oltre settanta le persone uccise nel corso degli anni, vittime di reati intenzionali violenti e ad agosto sono numerose le ricorrenze, molte delle quali ricordano ragazzi, poco più che adolescenti, basti pensare a Luigi Sequino e Paolo Castaldi, uccisi per uno scambio di persona il 10 agosto del 2000 a soli 21 e 20 anni, mentre stavano progettando tra loro le vacanze, e basti pensare a Gennaro Leone, ucciso lo scorso anno a soli diciotto anni da un coetaneo, il 29 agosto a Caserta. Un rosario di violenza i cui grani sono molteplici e con molteplici storie.

Rileggendo la consueta rassegna stampa che la fondazione Polis produce sul proprio sito, a partire dal settembre scorso, non si può fare altro che notare il riecheggiare, continuo, di due parole, che insieme producono un fenomeno: “emergenza minorile”.

L'escalation di violenza, perpetrata e subita da minori, fa capolino sulle pagine dei nostri quotidiani in maniera più o meno costante nell'arco della settimana, con un picco nel week end dove il consueto svago dei giovani spesso si tramuta in tragedia. Nell'arco della movida diversi fenomeni sembrano incontrarsi in un vortice che arreca morte e dolore: risse, scontri dovuti a uno sguardo di troppo, gelosie possessive nei confronti di giovani ragazze e adolescenti dediti a rapine, in un calderone che la longa manus della camorra sembra controllare, tastare, come un genitore perverso che, lontano ma presente, guarda e nel caso interviene a protezione dell'autore di violenza o, peggio, a ritorsione, come per dimostrare ancora una volta la grande menzogna della criminalità organizzata quale portatrice di ordine e vendicatrice dei torti subiti.

Tra tutto ciò che è accaduto e sta accadendo possiamo portare l'attenzione su alcuni eventi che maggiormente hanno segnato questi mesi, uno su tutti l'uccisione di Giovanni Guarino, appena diciotto anni, accoltellato al cuore il 10 aprile scorso, nel corso di una lite a Torre del Greco e per il cui omicidio sono stati fermati due quindicenni, legati per vincoli di parentela ai clan egemoni nella zona. Il 15 giugno invece a Napoli, la dottoressa Filomena Galeone è stata uccisa dal figlio di 17 anni, dopo una lite relativa a questioni legate all'utilizzo di una consolle, colpita da trenta coltellate. Infine l'11 luglio, sempre a Napoli nel quartiere Montesanto, una ragazzina di appena 12 anni è stata sfregiata dall'ex fidanzato di 17 anni.

Successivamente un parente della vittima è stato a sua volta coinvolto in un agguato a colpi di pistola.

Tre eventi molto diversi tra loro: una rissa il cui humus violento potrebbe trovare una spiegazione nel background culturale nel quale sono cresciuti gli autori dell'aggressione, una tragedia familiare i cui risvolti forse fino in fondo possono essere compresi soltanto da chi ne è stato coinvolto, e la violenza di genere, così preponderante tra i fenomeni criminali degli ultimi tempi, e il cui gesto richiama a tempi creduti superati, in un passato misogino e patriarcale che, bisogna constatare, sopravvive e si rilancia tra le giovanissime generazioni.

Ciò che c'è in comune tra questi accadimenti sono sicuramente le mani, troppo giovani, che hanno sottratto la vita a queste persone, lo strumento utilizzato, il coltello, che dai report provenienti dalle forze dell'ordine sembra essere sempre più portato dagli adolescenti, anche al solo scopo di difesa, e ovviamente le tragiche, e quasi in ogni caso definitive, conseguenze di ciò che è capitato.

Se li guardiamo sul piano globale degli altri eventi accaduti vi è ancor di più un tratto comune, che congiunge anche tragedie che hanno riguardato persone adulte, negli ultimi tempi: una certa “facilità” nel togliere la vita, se così possiamo dire, come il senso stesso del bene più prezioso e oggettivamente unico che si abbia, sia stato diciamo “svalutato”, caduto come sono caduti decine di altri tabù, negli ultimi decenni. Di certo non si può restringere il fenomeno soltanto a Napoli, alla Campania o al Mezzogiorno, ma come spesso accade, i nostri territori si rivelano precursori di eventi che, dai mass media, vengono poi notati anche in altri contesti.

Nei primi decenni del Ventesimo Secolo la cosiddetta scuola sociologica di Chicago, partendo proprio dai fenomeni devianti che investivano determinati luoghi della grande città adagiata sul Lago Michigan, teorizzò la stretta correlazione che esiste tra le azioni compiute e il contesto in cui si svolgono e tra l'ambiente e la narrazione che di esso si fa, mediante la stampa e i mezzi di comunicazione di massa.

Per quanto, ovviamente, gli studi sociologici di allora siano progrediti o mutati l”ecologia” sociale urbana teorizzata dagli studiosi di quell'alveo restano dei validi strumenti didattici per comprendere, prevenire e mutare le distorsioni di un determinato luogo, a partire proprio da quanto le amministrazioni pubbliche possono compiere contro i fenomeni criminali.

Ciò che si vuole intendere, richiamando Chicago, è che forse lo sguardo su quanto sta accadendo a Napoli in merito ai minori dovrebbe allargarsi, e non a spot, su un ambiente, su delle relazioni, su delle contiguità, che spesso divengono talmente incancrenite, da trasbordare come metastasi difficili da fermare e contrastare e che quanto accade, giustamente narrato e raccontato, viene finanche amplificato dai mezzi di comunicazione di massa, in particolare dai new media, e sappiamo come alcuni social network stiano entrando in maniera sempre più preponderante non solo nella cronaca, ma nelle stesse carte dei processi.

Detto questo, viene da chiedersi se quella che noi percepiamo come escalation di fenomeni violenti compiuti dai minori possa definirsi o meno “emergenza”, in quanto le sue origini sembrano lontane, e anche l'andamento percentuale dei reati compiuti, seppur in crescita negli ultimi anni, mostra comunque come la devianza minorile sia una costante della storia criminale della nostra realtà. Sicuramente sono recentemente intervenuti alcuni fattori, come la crisi economica dovuta al covid e l’amplificazione di alcuni eventi delittuosi mediante i social, ma non possono essere il fulcro della questione.

Per questa ragione il termine “emergenza” sembra piuttosto impreciso. La devianza minorile, così come la criminalità organizzata, va riconosciuta come un fenomeno criminale presente nel contesto della nostra città, del suo hinterland, e di alcune zone della nostra regione, riconoscendola come tale si possono attuare sempre di più i mezzi di contrasto, che già abbiamo e che in molti casi si rivelano, spesso silenziosamente, funzionanti nella loro opera di prevenzione e di tutela di giovani esposti a contesti difficili.

Pensiamo alla bellezza di tanti progetti portati avanti da fondazioni, da associazioni, da gruppi religiosi, mediante attività sociali, sportive e artistiche, e alle stesse attività portate avanti all'interno degli istituti di detenzione per minori, volte a formare la persona negli ambiti lavorativi e di studio, per rompere quel cerchio che vede figli invischiati nelle stesse attività criminali dei padri.

Noi Polis, a nome della Regione Campania, portiamo avanti il nostro impegno raccontando agli studenti le vite di tutti coloro che sono stati uccisi, vittime innocenti, da mani violente, ci impegniamo nel riuso sociale dei beni confiscati alla camorra, per mostrare come la legalità arrechi benessere ai territori e non la menzognera benevolenza dei clan, che controllano e opprimono, e siamo impegnati nelle attività a favore dell'infanzia negata perché la cultura sconfigge le sirene di morte della violenza. Soltanto una sicurezza integrata, che parta dalla responsabilità personale di ciascuno, che guardi all'”ecologia” delle persone e del territorio, può renderci capaci non solo di comprendere il fenomeno della violenza minorile, ma anche di limitarlo.

Prendere coscienza della realtà che ci circonda, assumere le devianze come parte dell'insieme e non come un'anomalia estranea, ci consente di affrontarle e affrontarle a partire proprio dalla frattura che esse hanno provocato nella società. Quello che Polis da quasi quindici anni compie, condividendo in nome dell'istituzione regionale le esperienze dei familiari delle vittime innocenti, è un percorso che dall'evento tragico della perdita possa portare un cambiamento radicale nella società, una trasformazione dei territori, una presa di coscienza contro la malavita organizzata, la criminalità comune e contro qualsiasi atto violento nelle sue molteplici sfaccettature. Lo fa nell'impegno affinché i beni confiscati, restituiti alla società, non siano soltanto un segno, ma l'incarnazione reale di come la legalità sia portatrice di benessere economico, inteso come capacità di trasformazione dei luoghi e nella crescita della qualità della vita dei territori. Lo fa con l'istituzione dei Punti Lettura, in cui le menti degli infanti possano essere educate alla cultura e al bello, in questo modo prevenendo i fenomeni criminali e gettando le basi per una società capace di eliminare devianze e soprusi.

Cercando di rispondere alle tante domande, che anche da questa testata si levano in merito al lavoro da fare, Polis si sta impegnando in un grande sforzo culturale, a partire dall’istituzione nei prossimi mesi di decine di Punti Lettura in tutta la Regione, dedicati all’ascolto per i bambini dai zero a ai sei anni, ha avviato un dialogo con l’ufficio scolastico regionale per consolidare la nostra presenza nelle scuole e incentivare il racconto della vita delle vittime innocenti in risposta all’esaltazione della mitologia criminale, ha stretto sempre di più il proprio legame speciale con Libera anche sul fronte della conoscenza dei prodotti dei beni confiscati nelle scuole e partecipa al patto educativo che vede numerosi attori sociali impegnati insieme al vescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia. Perché “La camorra non vale niente” non è soltanto un slogan di impatto, che da alcuni può essere definito coraggioso, ma è la pura e semplice verità che ogni giorno cerchiamo di manifestare con progetti concreti, che lo dimostrino cambiando il racconto delle nostre città.

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