Lotta alla mafia, l'ex sindaco di Corleone a Polis: «Il nostro riscatto per le giovani generazioni»

Lotta alla mafia, l'ex sindaco di Corleone a Polis: «Il nostro riscatto per le giovani generazioni»
di Silvia Tripaldella *
Giovedì 31 Marzo 2022, 17:36 - Ultimo agg. 19:35
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Oggi i beni confiscati alla criminalità organizzata rappresentano una grande risorsa a disposizione delle comunità locali, diventando luoghi in cui nascono esperienze in grado di stimolare la rigenerazione urbana e sociale dei territori. In Italia è stata la legge 109\1996 “Disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati”, approvata dopo un’importante campagna di raccolta firme promossa dall’associazione Libera, ad introdurre le regole per organizzare l’iter procedurale dei beni sequestrati e confiscati, prevedendone l’utilizzo per finalità sociali attraverso la restituzione alle comunità che avevano subito le conseguenze dei violenti soprusi della criminalità organizzata. La Fondazione Pol.i.s. ha incontrato uno dei testimoni di quella mobilitazione popolare che ha promosso la nascita della legge 190\1996, Giuseppe Cipriani, ex sindaco di Corleone ed ex deputato della Regione Siciliana, da sempre in prima linea nella lotta contro la mafia:

«Sono diventato sindaco nel dicembre del 1993. In quegli anni a Corleone nacque un movimento giovanile di uomini e donne desiderosi di cambiare il volto della città, troppo a lungo in ribalta per essere la patria di feroci boss di Cosa Nostra».

Secondo lei perché questo movimento di cittadini è divampato proprio in quegli anni?

Vivevamo nella Sicilia in cui erano appena avvenute le stragi che avevano ucciso i giudici Falcone e Borsellino, ma quando nel gennaio del 1993 fu catturato Riina, seguì una sorta di sollevazione da parte dell’opinione pubblica che, forse per la prima volta, ebbe l’impressione di essere sostenuta anche dello Stato, in quel periodo impegnato in una lotta serrata nei confronti di Cosa Nostra. È in quel contesto che riuscimmo a incrociare diverse esperienze associative, anch’esse mosse dal comune obiettivo della lotta alla mafia.

Può raccontarci il rapporto con le attività associative che incrociaste in quel periodo?

Sono state tante quelle qualificate, ma due sono state particolarmente significative: la prima con don Luigi Ciotti, che aveva l’intenzione di mettere su un’associazione, “Nomi, numeri contro le mafie” che poi diventerà Libera; e la seconda con l’ARCI Sicilia che promosse un’iniziativa chiamata ‘La Carovana Antimafia’, con lo scopo di sensibilizzare le persone per tenere alta l’attenzione sul fenomeno mafioso, ma anche con quello di promuovere un impegno sociale e mostrare la grande volontà di riscatto delle giovani generazioni.

Perché queste due esperienze sono state così significative per voi?

Perché nel 1995 don Luigi Ciotti ritenne opportuno venire a Corleone, nella “tana del lupo”, per raccogliere le prime firme di quella che poi sarebbe stata la legge 109\1996. Un conto è firmare per togliere i beni alla mafia in qualsiasi altro posto e un altro è stato firmare qui, dove c’erano (e ci sono) ancora i familiari di Riina, di Bagharella e Provenzano. Eppure, devo dire che i giovani aderirono con entusiasmo a questa raccolta di firme. Capimmo che questa legge poteva rappresentare un grande strumento di riscatto per la nostra comunità, perché il suo intento era quello di far ritornare ai cittadini i beni che la mafia aveva sottratto loro con il sangue e con la violenza. Ricordo ancora che, quando don Ciotti consegnò il milione di firme alla presidente della Camera, una parte delle copie delle firme raccolte a Corleone le conservò lui, nel suo ufficio, perché le riteneva una testimonianza preziosa.

Poi, fra il 1998 e il 1999, ci cominciarono ad assegnare dei beni confiscati e per noi fu una sorta di banco di prova, un momento in cui ci sperimentavamo e non sapevamo che piega potessero prendere le cose. Innanzitutto ci siamo dovuti inventare una serie di strumenti per l’affidamento di questi beni. Per esempio pensammo che il comodato d’uso gratuito potesse esserci utile, così come affidare gli immobili ad associazioni o cooperative sociali che ci sembravano la migliore garanzia per mettere alla prova queste nuove possibilità offerte dalla legge 109\1996.

Però all’inizio non è stato semplice trovare una cooperativa, a Corleone non ce n’erano, allora siamo ricorsi alle relazioni che erano cresciute con l’ARCI e insieme a loro abbiamo dato vita alla cooperativa Lavoro e Non Solo, la prima ad assumersi il compito coraggioso di gestire alcuni beni di Riina e Bagarella, inaugurando un percorso che ad oggi ci ha dato notevoli soddisfazioni.

Durante il percorso che vi ha portato a realizzare diverse attività nei beni confiscati avete avuto il supporto delle istituzioni locali?

Si. Quando si stavano per consegnare i beni della famiglia Riina-Bagarella ci siamo resi conto che questi si trovavano su tre comuni diversi: Corleone, Monreale e Piana degli Albanesi. I beni in questione erano composti da 170 ettari di terreni agricoli in cui erano presenti alcuni fabbricati. Se i beni fossero stati assegnati comune per comune il rischio era la parcellizzazione di queste attività che sarebbero entrate in difficoltà. Quindi chiesi al prefetto di creare un consorzio di comuni e il 30 maggio 2000 nacque il “Consorzio Sviluppo e Legalità” a cui furono assegnati questi beni e poi, con la collaborazione di Libera, sono nate altre cooperative che iniziarono a gestirli.

Secondo lei qual è l’elemento fondamentale per promuovere buone pratiche di riutilizzo?

Secondo la mia esperienza deve esserci sia il coinvolgimento delle istituzioni, che devono credere in questi progetti di riscatto (anche con un certo coraggio) e una condivisione e mobilitazione della società civile, senza la quale tutto sarebbe più fragile. La casa dove voi siete stati (Laboratorio della Legalità, ndr) era la casa dei nipoti di Riina. Era la casa dove, probabilmente, si parlava delle stragi quando si preparavano. Oggi è un centro aperto a diverse iniziative che accoglie giovani di tutta Italia. I ragazzi di questa cooperativa anche grazie al sostegno del Comune e del Consorzio vanno avanti da soli e hanno avuto la capacità di segnare un’esperienza che dura nel tempo. Bisogna credere in queste cose, bisogna spendersi. Non possono esserci solo esercizi teorici o propaganda.

Quali sono le criticità che si trovano ad affrontare solitamente gli enti gestori?

Le problematiche sono diverse. Innanzitutto le cooperative fanno fatica ad avere accesso al credito perché non godono delle garanzie che avrebbero gli attori privati, per questo si fa opera di supplenza con i Consorzi o con altre realtà che possano garantire per i progetti dei giovani. Io credo che sia importante avere altri fondi di garanzia, anche promossi dalle varie Regioni, finalizzati a sostenere queste realtà che gestiscono i beni confiscati. Poi bisognerebbe anche capire quali sono i beni confiscati utilizzabili e quelli inutilizzabili. E’ inutile continuare a tenere beni che non hanno nessuna utilità come aree dismesse, vecchi edifici che non possono essere recuperati e affidarli ad associazioni o Comuni, che poi continuano a mantenerli nello stato di degrado, fra l’altro, dando l’idea che quando subentra lo Stato sia peggio di quando c’era la mafia. Meglio fare bandi con beni che possono essere utilizzati, sia dal punto di vista imprenditoriale che da un punto di vista di affidamento dei servizi.

Come si potremmo fare ad accendere i riflettori su questi processi?

Sarebbe bello, passato questo periodo di pandemia, mantenere i rapporti tra di noi. Poter far venire qui i giovani della vostra regione e fargli toccare con mano anche queste realtà, fargli vedere le cose che fanno, le strutture che hanno realizzato, l’agriturismo, il sementificio. Mostrargli cosa potrebbero creare anche loro nelle loro città. Se ci siamo riusciti a Corleone lo potete fare anche da voi. Queste cooperative nate circa venti anni fa, e anche il Consorzio, oggi esistono e continuano a dare testimonianza di quella che può essere la resistenza civile in una realtà fortemente segnata da una mafia che è, naturalmente, indebolita ma che certamente non è scomparsa.

* Sociologa borsista dell'Università Federico II presso la Fondazione Pol.i.s. 

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