Marcello Torre, 40 anni fa la morte:
il ricordo di Marcello Ravveduto

Marcello Torre, 40 anni fa la morte: il ricordo di Marcello Ravveduto
di Marcello Ravveduto *
Venerdì 11 Dicembre 2020, 08:00
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L’omicidio di Marcello Torre è un attentato politico. Un delitto eversivo che ricalca la logica terroristica del «colpire uno per educarne cento». Il cadavere è un monito per tutti i sindaci del “cratere”: o si consegnano alla camorra, dichiarando la sconfitta della politica, o saranno eliminati senza rispetto per la vita umana. Marcello Torre, per dignità personale e per ossequio alle istituzioni (era stato eletto sindaco di Pagani nel giugno del 1980), considera inammissibile la prima ipotesi. Anche il gesto di dimettersi pochi giorni prima dell’assassinio (6 dicembre 1980) è un atto teso a rafforzare l’opposizione ai gruppi di potere, preoccupati del suo crescente consenso popolare. Il sindaco, infatti, immediatamente dopo la scossa, si è rimboccato le maniche consegnando personalmente agli sfollati beni di prima necessità e trovando un alloggio temporaneo a chi è rimasto senza tetto. L’avvocato, questa era la sua professione, conquista il sostegno dell’opposizione e la fiducia collettiva grazie alle sue qualità umane, diventando, per i clan che intendono controllare l’emergenza sismica, un pericoloso ostacolo da abbattere. Marcello Torre è il capro espiatorio su cui la comunità scarica il peso delle sue responsabilità. Torre è la pietra di scandalo di una società ormai assuefatta alla presenza criminale. Pagani vive in uno stato di apparente normalità finché l’alter ego delinquenziale non viene evocato coram populo: manifestando pubblicamente il dissenso ai condizionamenti criminali, l’avvocato rivela alla città l’esistenza di fantasmi che si nascondono nelle pieghe della normalità. Il suo guardare oltre lo specchio delle apparenze, per quanto coraggioso, è un’inaccettabile anomalia che può mutare il corso degli eventi, al di là della sua stessa volontà. Chiamandosi fuori dal gioco di potere, proprio mentre ricopre un ruolo di potere, lo pone nella condizione dell’anormale: chi non si conforma alla norma, denunciando ciò che gli altri fingono di non vedere, è un pericoloso visionario che può alterare l’equilibrio della realtà apparente. 

«…l’anormalità può servire da criterio preferenziale nella selezione dei perseguitati… Più ci si allontana dallo statuto sociale più comune… più aumentano i rischi di persecuzione».

L’anormalità di Marcello Torre è una minaccia per il sistema delle consuetudini che deve essere eliminata. Nessun sindaco prima di lui ha osato denunciare lo scandalo di una politica che giustifica il potere criminale. Due sono i motivi essenziali della sua contestazione: 1) la camorra è in sintonia con i valori della comunità, in quanto prodotto violento della sua stessa cultura; 2) il potere locale ha rapporti di collusione con la camorra sottoforma di clientelismo elettorale e di risposta al disagio sociale. Ma l’eliminazione fisica diventa urgente solo quando la sua utopia ottiene la fiducia della gente comune che può spingerlo a comporre, con le opposizioni, una maggioranza autonoma di governo locale. Questo è il lato più inquietante della storia. Torre appartiene allo stesso establishment che ha sconfessato. È parte di un’oligarchia che ha costruito un potere senza scrupoli morali, integrando, attraverso la politica, la parte violenta della comunità. La denuncia dello «scandalo etico» della città, rivelata da un esponente del notabilato locale – democristiano e avvocato della camorra – lo espone ad essere il capro espiatorio ideale su cui far ricadere le responsabilità della crisi aperta dal terremoto. L’essere parte integrante della classe dirigente rende “mostruosa” la sua opposizione al sistema di potere costituito. L’unico modo per ristabilire l’ordine sociale preesistente è l’annientamento della “cellula impazzita”, prima che il “virus etico” attecchisca provocando la “degenerazione” collettiva. Per questo la lettera testamento che lascia alla famiglia (datata 30 maggio 1980) è un’azione premeditata, il primo atto di difesa della sua memoria. Il testamento è il suo Paracleto: «l’avvocato universale, il preposto alla difesa di tutte le vittime innocenti, il distruttore di ogni rappresentazione persecutoria». Marcello Torre è avvocato di se stesso. Dopo la morte non potrà difendersi dalla “logica persecutoria”, allora predispone un documento scritto di suo pugno: nessuno potrà smentire le parole di un uomo reso martire dalla violenza criminale per aver sognato «una Pagani civile e libera».

* Docente e Scrittore – Autore del libro “Il Sindaco Gentile” (Melampo), dedicato a Marcello Torre, ucciso l’11 dicembre 1980

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