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GIORGIA MELONI

Almasri, i viaggi indisturbato in Europa prima dell'arresto. Piantedosi: «Era pericoloso»

Roma, Londra, Bonn, Monaco, Torino: le tappe del libico prima dell’arresto. Il giallo del controllo stradale in Germania. Il Viminale: «Espulsione appropriata»

Almasri, i viaggi indisturbato in Europa prima dell'arresto. Piantedosi: «Era pericoloso»
Almasri, i viaggi indisturbato in Europa prima dell'arresto. Piantedosi: «Era pericoloso»
di Francesco Bechis
Articolo riservato agli abbonati premium
venerdì 24 gennaio 2025, 00:01 - Ultimo agg. : 06:31
4 Minuti di Lettura

ROMA In tour in giro per l’Europa. Come nulla fosse. Fino a una settimana fa Osama al Njeim Almasri non era un uomo in fuga dalla giustizia. Era un turista. Londra, Bruxelles, Bonn, Monaco, Torino. Il capo-miliziano libico al centro di un giallo internazionale che tiene sulle spine il governo italiano, prima di essere arrestato il 18 gennaio dalla Digos, ha solcato in lungo e in largo il continente. Dodici giorni di interrail, senza che nessuno alzasse un ciglio. Né tintinnassero manette.

APPROFONDIMENTI
Come funzionano le espulsioni e i voli di Stato?
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La vicenda
Almasri, Piantedosi: «Espulso dall'Italia perché pericoloso»

Come è stato possibile? Si infittisce la vicenda del ras di Tripoli nel mirino di un mandato di arresto della Corte penale dell’Aja, espulso e riportato in Libia su un aereo del governo italiano - fra le proteste delle opposizioni che promettono battaglia chiamando in aula la premier Giorgia Meloni - perché considerato «un soggetto pericoloso», ha riferito ieri al Senato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

LA RICOSTRUZIONE

Andiamo con ordine. Secondo quanto riferito ieri mattina da fonti qualificate al Messaggero, Almasri tocca il suolo italiano per la prima volta nel pomeriggio del 6 gennaio. Ma è solo uno scalo all’aeroporto di Roma-Fiumicino. Prima di ripartire alla volta della prima destinazione di un tour per l’Europa all’insegna - almeno questo emerge dalle prime indagini - del divertimento e della passione calcistica. Intorno alle 20 un volo British Airways decolla alla volta di Londra. Dove Almasri trascorre quasi una settimana. Sei giorni, per la precisione. Non è dato sapere a fare cosa. Si sa che è in compagnia. E non è solo quando la mattina del 13 gennaio risale su un treno diretto dalla City a Bruxelles. Nella capitale belga. A una manciata di chilometri dall’Aja dove la Corte penale internazionale che dà la caccia a Putin e Netanyahu, va ricordato, non ha ancora spiccato un mandato di arresto nei suoi confronti. Anche se la procura lo ha chiesto mesi prima, a inizio ottobre. Almasri è un individuo noto alle intelligence europee. Una pedina chiave a Tripoli, accusato da decine di organizzazioni umanitarie di crimini contro i migranti, uomo che ha in mano il controllo dell’aeroporto di Mitiga, a due passi dalla capitale. Allievo di Abdel Raouf Kara, uno dei ras che hanno guidato l’insurrezione contro il colonnello Gheddafi. Eppure nessuno, fino al blitz della Digos nel suo albergo a Torino, disturba il viaggio europeo del libico. Arriva a Bruxelles il 13 sera. Di qui si sposta in Germania, a Bonn. Viaggio in auto in compagnia di un amico. Si muove in libertà, ignaro di quanto sta per accadere. Ignaro a tal punto che quella sera, insieme all’amico, la trascorre allo stadio a guardare una partita di calcio. Il giorno dopo riparte. Direzione Monaco, sempre in auto. Ed è qui che succede un imprevisto. Due agenti della polizia federale tedesca fermano la vettura di Almasri a metà strada. Un banale controllo: patente e libretto. Fila tutto liscio, la polizia lascia subito andare i due stranieri al volante. Il viaggio tedesco del capo della polizia di Tripoli finisce il 18 gennaio.

Di buon mattino affitta una nuova auto alla stazione di Monaco. Si informa se può lasciarla a Roma, dopo una tappa a Torino dove lo attende un biglietto per il match Juventus-Milan. Nel capoluogo piemontese il libico trascorre meno di quattro giorni. Novanta ore in tutto, dalla partita e il pernottamento all’Holiday Inn alle notti nel carcere delle Vallette. Il blitz della Digos nell’hotel di Piazza Massaua va in scena nella notte tra il 18 e il 19 gennaio, intorno alle tre del mattino. È stato preceduto da un controllo in giornata operato da una pattuglia della polizia, apparentemente di routine: l’auto con Almansri e i suoi amici a bordo viene fermata per un check, proprio come a Monaco, e lasciata andare senza problemi. Nel pomeriggio la Corte dell’Aja spicca il mandato di cattura internazionale. E il nome del comandante libico accusato di torture e crimini contro l’umanità finisce nella banca dati del Viminale, lo Sdi, già balzata agli onori delle cronache negli ultimi mesi per la polemica sui dossieraggi di politici e vip.

I DUBBI

Qui entra in gioco il governo italiano. Venerdì 18, a quanto risulta a questo giornale, il governo si riunisce per discutere del caso Almansri, già agli arresti. Sul dossier c’è l’autorità delegata all’intelligence Alfredo Mantovano e il caso finisce al centro di una riunione alla Farnesina presieduta da Antonio Tajani. Che fare? Si temono ritorsioni, in quelle ore. E un caso Cecilia Sala-bis.

In Libia vivono migliaia di italiani. Si decide allora di agire, con l’espulsione e il rimpatrio su un aereo dei Servizi. La misura «più appropriata» ha detto ieri Piantedosi al Senato, anche «per la durata del divieto di reingresso»: un daspo di quindici anni. Un’espulsione dovuta a «urgenti ragioni di sicurezza» e spiegata con «la pericolosità del soggetto». Spiegazioni che non bastano alle opposizioni. «Meloni ci metta la faccia - tuona Elly Schlein - aveva promesso caccia ai trafficanti in tutto il globo terracqueo, ma ne avevano arrestato uno in Italia e lo hanno liberato».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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