Autonomia, così riduce i posti di lavoro a Roma. Ministeri svuotati dei dipendenti, colpite anche le attività dell’indotto

Calderoli: «Un anno per chiudere». Rischio desertificazione per la Capitale

Autonomia, così riduce i posti di lavoro a Roma
Autonomia, così riduce i posti di lavoro a Roma
di Andrea Bassi
Venerdì 16 Dicembre 2022, 00:02 - Ultimo agg. 12:15
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Arrivare all’autonomia differenziata entro un anno. Lo ha annunciato ieri il ministro degli Affari Regionali Roberto Calderoli, che tira dritto sul progetto autonomista. Del resto la Lega ha un vecchio sogno: spostare i ministeri da Roma al Nord.

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Autonomia, così riduce i posti di lavoro a Roma

Qualche anno fa, nel 2011, Umberto Bossi ottenne di aprire a Monza delle “dependance” di alcuni dicasteri. Ci pensò l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a ricordare che di capitale in Italia ce n’è una sola ed è Roma. Il progetto del Carroccio fu respinto con perdite. Capita la lezione, i governatori delle Regioni del Nord hanno trovato un’altra strada: invece di spostare i ministeri, spostiamo i contenuti dei ministeri, le competenze. Per Roma il risultato non cambia.

Il rischio è lo svuotamento delle attività amministrative e la desertificazione della città. Dietro l’autonomia differenziata chiesta da Veneto e Lombardia, c’è insomma una “questione Capitale”.


LE RICHIESTE
Prendiamo una delle richieste fatta dalle due Regioni, quella di poter gestire le competenze sulla scuola. In Italia ci sono circa 670 mila insegnanti. In Lombardia lavorano in centomila. Altri 50 mila in Veneto. Più del 20 per cento del corpo docente insegna nelle due Regioni che hanno chiesto di prendersi le competenze sull’istruzione. Il ministero dell’Istruzione ha una dotazione organica di 5 mila persone che, tra le altre cose, “gestiscono” questi insegnanti. Quando le competenze dovessero passare da Roma a Milano e Venezia, il ministero dovrebbe in teoria rinunciare al 20 per cento dei suoi dipendenti. Ma se dopo Lombardia e Veneto, anche Toscana, Piemonte, Liguria, e altre Regioni dovessero chiedere le stesse competenze, cosa resterebbe del ministero? Il ragionamento, ovviamente, non vale soltanto per l’Istruzione. Le competenze che con l’Autonomia dovrebbero essere trasferite alle Regioni del Nord sono ben 27 e riguardano trasversalmente tutti i ministeri. La decisione, inoltre, di quante risorse economiche e umane “prendersi” è demandata ad una sorta di trattativa privata tra la Regione che chiede l’autonomia e il ministro per gli Affari Regionali, ossia Roberto Calderoli.

IMPATTO SULLA CAPITALE
L’impatto su Roma rischia di essere molto pesante. Non solo per l’occupazione pubblica “diretta”, ma anche per tutto l’indotto che gira attorno all’attività amministrativa della Capitale: studi di professionisti, società di consulenza, esercizi commerciali di prossimità. La domanda, insomma, è che ruolo si vuole dare a Roma e come si “compensano” queste perdite. Probabilmente ci vorrà una legge, una sorta di “manovra per Roma”. Ma anche dirottando sulla Capitale tutte le grandi manifestazioni o le Autorità internazionali per le quali il Paese dovesse essere candidato. Dare insomma alla città il ruolo che le spetta. La questione della Capitale è probabile che nel prossimo futuro affianchi quella pure importante dei Lep e dunque del livello dei servizi che devono essere garantiti ad ogni cittadino su tutto il territorio nazionale a prescindere da dove vive. Anche da questo punto di vista il progetto della Lega non convince. I Lep inseriti nell’articolo 143 della manovra, assomigliano più a una ricognizione amministrativa dell’esistente che ad una vera determinazione di livelli essenziali di prestazioni da garantire. Ma soprattutto manca qualsiasi indicazione sulle risorse finanziarie necessarie ad assicurare che quei livelli siano garantiti in tutte le Regioni. Intanto, ha spiegato ieri Calderoli, la maggiore spesa che le Regioni interessate dall’autonomia dovranno sostenere, dovrà essere finanziata con la compartecipazione ai tributi erariali. Alle Regioni, secondo il progetto Calderoli, dovrà andare qualche “pezzo” di tributi statali (Irpef o Iva) maturati nel territorio per finanziare le competenze. Ma se le Regioni più ricche d’Italia trattengono più soldi delle tasse nel loro territorio sottraendole allo Stato, come sarà possibile finanziare servizi migliori in tutto il Paese? 


IL PASSAGGIO
C’è poi un altro punto che sembra di forma ma che è invece di sostanza. La proposta Calderoli prevede che i Lep siano stabiliti da una cabina di regia e che se questa cabina di regia non termina in tempo il lavoro, ci sia la nomina di un commissario. I Lep, poi, verrebbero adottati con un Dpcm, un decreto del Presidente del Consiglio. In questo modo però, i Lep sfuggirebbero a qualsiasi tipo di verifica parlamentare e, soprattutto, i Dpcm non sarebbero nemmeno impugnabili dinanzi alla Corte Costituzionale. Per questo il Partito democratico, con un emendamento a prima firma dell’ex sottosegretario al Tesoro del governo Draghi, Maria Cecilia Guerra, ha proposto che i Lep siano approvati con dei decreti legge. In questo modo non solo ci sarebbe il passaggio parlamentare, ma i decreti non potrebbero vedere la luce se non fossero anche dotati delle coperture finanziarie necessarie a garantire che tutti i cittadini italiani possano godere degli stessi diritti. 
 

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