«O si fa l’Italia o si muore» è il grido garibaldino assunto da Giorgia Meloni, ma l’offensiva leghista sull’Autonomia non sembra assecondare quel bisogno di fare le cose in maniera unitaria e all’insegna della coesione nazionale che è la cifra del capo del governo. Le elezioni regionali in Lombardia e il pericolo per il Carroccio di finire surclassato da Fratelli d’Italia - il risultato sarebbe Fontana governatore un’altra volta, almeno secondo i sondaggi, ma molto condizionato o addirittura commissariato dal partito della destra che prenderebbe gli assessorati chiave: sanità e infrastrutture - stanno spingendo Salvini e i suoi a insistere sulla riforma nordista e più divisiva che ci sia. Quella appunto dell’autonomia. Gli scogli dunque ci sono nella navigazione del governo, ma Meloni ha una bussola in cui crede e una mappa da seguire senza deviazioni e tentennamenti. E’ questo anche il senso del post che ha scritto a proposito del proprio compleanno. «46 anni. Non so se ci sia da festeggiare, ma c’è sicuramente un augurio che voglio fare io a me stessa», così comincia il ringraziamento di Giorgia ai tanti messaggi di auguri (compresa la telefonata di Berlusconi) ricevuti per la sua festa. Poi, le promesse: «Mi auguro di non farmi spaventare dalla mole dei problemi, di non farmi ammaliare dalle sirene del potere, di non farmi convincere da un sistema che non condivido. Mi auguro di essere audace, concreta, veloce e coraggiosa. Di guardare sempre a quello che è giusto per l’Italia. In breve, mi auguro di non deludere chi ha creduto in me, e nella possibilità che l’Italia tornasse la grande nazione che merita di essere. E non lo farò, costi quel che costi».
Eppure, per FdI, l’Autonomia è sostanzialmente un freno, almeno così come si va delineando secondo i desiderata leghisti.
Le spine
In questo contesto, c’è molta aspettativa nella maggioranza - versante azzurro-meloniano - per il testo di legge sul ripristino delle Province presentato dalla capogruppo berlusconiana Ronzulli. La senatrice vorrebbe che il governo si occupasse delle funzioni delle Province, ristabilendo alcune delle vecchie responsabilità, anche in materia finanziaria. Il che significherebbe togliere alle Regioni - perno del progetto autonomistico - capitoli di spesa e impegni che tornerebbero nelle mani degli enti più piccoli. Sconfessando di fatto la riforma cara alla Lega. E comunque, dopo i contrasti sulla vicenda accise, le differenze sulla modifica della riforma Cartabia (FdI e Nordio vogliono che i reati mafiosi e gravi ritornino perseguibili d’ufficio, ma i forzisti si oppongono), il capitolo Mes (l’azzurro Giorgio Mulè è drastico: «Quello sarà il nuovo punto critico. Bisogna ratificare il Mes subito e senza ambiguità nei confronti della Ue») e in generale la materia fiscale sono fronti che insieme all’Autonomia stanno creando qualche problema interno alla coalizione. Pare abbiano parlato di tutto questo Berlusconi e Tajani nella loro telefonata di ieri e hanno fatto un punto della situazione. Che un big di via della Scrofa riassume così: «Differenze sostanziali tra i nostri tre partiti non ci sono. C’è solo che Giorgia ha vinto le elezioni e continua a salire nel gradimento degli italiani, mentre Salvini e Berlusconi non accettano questo fatto e non sanno bene come fare». In più, le elezioni nel Lazio e in Lombardia potrebbero aggravare le difficoltà dei due.