Il centrodestra fa muro sul presidenzialismo, altra mina per il governo

Martedì il voto in Commissione, ma Pd e Leu sono pronti alla bocciatura in Aula

Il centrodestra fa muro sul presidenzialismo, altra mina per il governo
Il centrodestra fa muro sul presidenzialismo, altra mina per il governo
di Marco Conti
Sabato 5 Marzo 2022, 08:25
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L'obiettivo, per dimostrare di nuovo che il centrodestra si muove in maniere compatta, arriva con il voto di martedì in commissione Affari costituzionali sul ddl costituzionale presentato da FdI e che dovrebbe introdurre il presidenzialismo in Italia a meno di dodici mesi dalle nuove elezioni politiche.
L'argomento è destinato a dividere la maggioranza di governo, così come avvenuto giovedì sulla riforma del catasto, e serve a FI e Lega per dimostrare che il tema del presidenzialismo non appartiene solo a FdI ma a tutto il centrodestra. L'argomento delle riforme costituzionali ed elettorali è al di fuori del panel di obiettivi del governo di Mario Draghi e quindi nessuno dei partiti può reclamare lealtà. Ovviamente rischia di non contribuire al clima interno alla larga coalizione. Anche se nessuno dei partiti sembra voler spingere sul pedale della polemica, il rischio dell'imboscata è forte e lo scorso giovedì evitato per un solo voto.

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LA SFIDA
D'altra parte dopo lo scontro in Commissione Finanze della Camera, finito 22 a 23, martedì si riprende a votare perchè c'è ancora una larga fetta della delega fiscale che deve passare in commissione e ciò non fa dormire sonni tranquilli al presidente della Commissione Finanze Luigi Marattin che auspica «un cambio di metodo» nel rapporto tra governo e Parlamento. Al Senato è invece bloccata, nella commissione Lavori Pubblici, la legge sugli appalti. Così come deve ancora vedere la luce il ddl concorrenza, nel quale c'è la parte relativa alle concessioni balneari, sul quale si è raggiunto un accordo in consiglio dei ministri che però potrebbe essere messo in discussione così come è accaduto sulla riforma del catasto.
I motivi del contendere non mancano e nei partiti inizia a spirare un venticello elettorale che rischia di rendere complicato l'iter dell'esecutivo e, soprattutto di frenarlo rendendo più difficile il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr.

Mentre a sinistra si cerca ancora di capire quale soluzione troverà il M5S sullo statuto, a destra si continua a marcare il territorio anche se dentro la Lega, e soprattutto in FI, provoca sempre più evidenti spaccature la scelta tra la fedeltà al centrodestra e quella alla maggioranza di governo. Il dilemma si ripeterà martedì in Commissione Affari costituzionali dove si voterà la riforma presidenzialista che spaccherà la maggioranza provocando ulteriori fibrillazioni.

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Al testo del ddl, prima firmataria Giorgia Meloni, gli altri partiti del centrodestra non hanno presentato emendamenti, o quasi. La Lega ne ha messi insieme solo quattro ma, si affrettano a precisare con il capogruppo in commissione Igor Iezzi, «in una logica di miglioramento di particolari del testo». Carlo Sarro, capogruppo FI, parla invece di «sostanziale condivisione» della proposta di Fdi. Il relatore della proposta di legge è il capogruppo in Commissione Emanuele Prisco e le norme vorrebbero introdurre in Italia il sistema presidenziale francese. Ovvero l'elezione diretta del presidente della Repubblica al quale verrebbero però affidate anche funzioni di governo oltre che quelle proprie del Capo dello Stato. Il presidente guiderebbe il consiglio dei ministri con funzioni di indirizzo politico che può delegare al primo ministro che a sua volta può essere cambiato attraverso il meccanismo della sfiducia costruttiva.
LO STRAPPO
Un mix di sistema francese e di premierato tedesco che rappresenta una novità costituzionale e che non convince Pd, Leu, M5S ma neppure Iv e centristi. Il tempo per presentare emendamenti è scaduto e martedì il presidente della Commissione Giuseppe Brescia (M5S) metterà ai voti una quarantina di emendamenti presentati soprattutto da Alternativa. Pd e Leu non hanno presentato emendamenti. Stefano Ceccanti, capogruppo dem in Commissione, sostiene che «sarebbe più lineare dal punto di vista parlamentare non votare alcun emendamento e alla fine dare un mandato al relatore di riferire negativamente in Aula». ovvero a sinistra ci si prepara a votare contro il testo per poi fargli fare la stessa fine in plenaria.
Una sorta di sfida sulle riforme costituzionali che probabilmente non porterà da nessuna parte e renderà ancora più complicato trovare un'intesa su quel pacchetto di misure che servirebbero per adeguare il Parlamento al taglio dei parlamentari.
 

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