Covid-19, il governo avvisa le Regioni: «Regoleremo i conti alla fine»

Covid-19, il governo avvisa le Regioni: «Regoleremo i conti alla fine»
di Mario Ajello
Mercoledì 15 Aprile 2020, 07:48 - Ultimo agg. 08:53
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ROMA Tutti per uno e uno per tutti? No, ognuno fa da se. I governatori regionali hanno deciso di andare in ordine sparso - la Lombardia, l'Emilia-Romagna e la Campania scelgono la linea dura, il Veneto e la Liguria preferiscono allentare i divieti e il paesaggio italiano al tempo del Coronavirus è un disordine che rischia di essere improduttivo - e Palazzo Chigi non trova la forza di fermarli.

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Servirebbe uno stop rigoroso, e invece il governo preferisce non accendere adesso la guerra contro l'autonomismo di fatto e rinvia: «I conti con le Regioni si regoleranno dopo, alla fine di tutto». Questo il mood, minaccioso ma insieme impotente, che si riscontra a Palazzo Chigi. Dopo significa che si metterà mano alla limitazione dei poteri esorbitanti non solo sulla sanità - garantiti dalla sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra nel 2001 per inseguire la Lega - ma il dopo è ancora più nebuloso dell'adesso.

LA DIATRIBA
Il ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, fa la voce grossa - temendo che gli errori dei governatori possano «vanificare gli sforzi fatti» - ma anche no nell'audizione in commissione Affari costituzionali dove dice che se le riaperture non sono in contrasto con i decreti del presidente del consiglio «vanno sul tavolo dei prefetti» e insomma sono fattibili. Di fatto la materia si sta ingarbugliando. E una reazione vigorosa da parte del governo non c'è, ma sarebbe potuta essere quella di impugnare le ordinanze dei governatori. Ipotesi scartata proprio per non far scoppiare, «adesso non è certo il momento», ripetono a Palazzo Chigi, una guerra tra potere centrale e enti locali che la tattica sconsiglia.
 


E così, senza vere reazioni, se non a mezzabocca, Roma assiste per esempio al caso Toscana dove il presidente Enrico Rossi ha segnato sul suo calendario il 27 aprile (una settimana prima della scadenza, il 3 maggio, del lockdown del governo) come giorno in cui potrebbero riaprire alcune aziende: dalla metalmeccanica alla moda. Idem sulla tabella di riaperture del Veneto e della Liguria, che agli occhi del governo sarebbero in linea con i Dpcm volutamente vaghi. Esempio: le passeggiate consentite solo «in prossimità delle proprie abitazioni», secondo il dettame di Roma, Zaia prima le ha delimitate a 200 metri di distanza e ora ha modificato la sua indicazione allargandone il raggio.

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Quindi, spiegano a Palazzo Chigi, il governatore veneto non ha disatteso le regole centrali, ha solo cambiato quelle regionali. E così gli altri. Una spiegazione che non sprizza di vera voglia di chiarimenti. Quieto (si fa per dire) vivere, appunto. Comunque la prossima settimana, nella prima riunione della cabina di regia con dentro governatori e sindaci (per ora ci sono solo Bonaccini e Fontana, ma è in arrivo il nome di un presidente regionale del Sud), la questione del disordine da fase 2 verrà affrontata. E così anche nella prossima conferenza Stato-Regioni al momento non ancora convocata.

LA FATICA
Quel che è certo è che il governo fatica assai ad esercitare da Roma un comando sulle varie articolazioni del Paese. E nelle stanze di Conte si mastica amaro e si cita un motto coniato dal giurista Francesco Clementi: «Ognuno dei venti presidenti regionali italiani pensa di essere il governatore del Texas». Non solo, alcuni di loro, quello veneto e Toti in Liguria, hanno le elezioni regionali a breve e, per il secondo, si fa notare tra qualche ministro Pd: «La riapertura è una chiara manovra elettoralistica». Non però per Zaia, che ha la rielezione garantita. E in più, come a Palazzo Chigi notano con piacere, ha imposto l'obbligo di mascherine e guanti per chiunque esca da casa e ha raddoppiato da uno a due metri la distanza di sicurezza.
L'importante, su questo Palazzo Chigi è rigidissimo, è non sbracare. Ovvero «la guerra al virus non è finita». E quella politico-istituzionale è solo, ma neanche tanto, rinviata.

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