La lotta alle lobby per battere la corruzione - di R. Cantone

La lotta alle lobby per battere la corruzione - di R. Cantone
La lotta alle lobby per battere la corruzione - di R. Cantone
di Raffaele Cantone
Domenica 24 Marzo 2019, 00:24
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I recenti sviluppi dell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma ripropongono con forza il tema del rapporto tra interessi privati e funzione pubblica. Ferma restando la doverosa presunzione d’innocenza, è comunque impressionante constatare che un presidente dell’Assemblea capitolina, per la seconda volta in nemmeno quattro anni, sia finito in carcere con l’accusa di aver mercificato il proprio autorevole incarico (in precedenza, nell’ambito di Mafia capitale).

Malgrado il cambio di stagione politica, all’insegna del proclamato cambiamento, si direbbe che le peggiori prassi del passato non abbiano subito alcuna battuta d’arresto, come d’altronde aveva già certificato la prima ondata di arresti: la famelica mercificazione del ruolo pubblico, piegato a interessi di parte e utilizzato per l’arricchimento personale; l’immancabile presenza di faccendieri e facilitatori, con la loro rete di relazioni e contatti; le tangenti nascoste consulenze e da prestazioni professionali; l’incasso delle dazioni tramite una società riconducibile, secondo i pm, all’esponente politico di turno. 

Sotto il profilo criminale, è interessante notare come i reati, ascrivibili a più vicende e nemmeno tutte collegate fra loro, siano stati commessi quando i progetti erano in una fase preliminare. Quella, cioè, in cui essi stanno ancora prendendo forma e hanno di conseguenza caratteristiche di “fluidità” tali da farne una zona opaca per eccellenza, perché è più facile orientarne l’esito facendo valere l’arbitrio e il proprio peso politico. 

A mio avviso questa circostanza deve indurre a una prima riflessione: se i meccanismi corruttivi operano già durante la pianificazione, in cui di fatto non vi è alcuna attività amministrativa in senso stretto, figuriamoci che cosa può comportare, specie nei contesti più a rischio, una maggiore discrezionalità nella fase esecutiva come quella che si vorrebbe introdurre per “far ripartire il Paese” (ad esempio aumentando le soglie per gli affidamenti diretti). Proprio episodi come quelli di Roma dovrebbero indurre infatti a una certa prudenza nelle decantate semplificazioni, per evitare che nobili intenti si traducano nella pratica in una pericolosa deregulation criminogena. 

C’è poi una seconda considerazione, ancora più pregnante. Per una vicenda che la magistratura lodevolmente scopre e reprime, quanti sono coloro che la fanno franca? E soprattutto, dobbiamo proprio rassegnarci al triste spettacolo di pubblici ufficiali che svendono la loro funzione per assicurarsi - testualmente - “un prepensionamento dignitoso”? Sia beninteso, non esistono formule magiche: chi vuole corrompere (proprio come chi è disponibile a mettersi al servizio di un corruttore) troverà sempre un modo per riuscirci. Ciò non vuol dire, tuttavia, che non sia possibile quanto meno provare a rendere la vita difficile ai disonesti. 

Come hanno mostrato molte inchieste per corruzione, il vero tema riguarda la necessità di intervenire sulle lobby. Innanzitutto regolamentando il settore, così da rendere più facile (rispetto all’attuale vuoto normativo) l’individuazione di chi svolge tale attività in maniera illegale. In secondo luogo, introducendo appositi meccanismi di trasparenza. 

I precedenti non mancano. Negli ultimi anni vari titolari di cariche di governo, di propria iniziativa, hanno reso pubblica la loro agenda e di recente anche l’Autorità anticorruzione ha deciso di percorrere questa strada, prevedendo che siano tracciati tutti gli incontri avuti coi portatori d’interessi dai componenti del Consiglio e dai dirigenti degli uffici. 

Prevengo l’obiezione: anche così, nulla impedirà che gli appuntamenti che nascondono fini illeciti avvengano comunque altrove. Verissimo, ma con una significativa differenza. Attualmente, in assenza di una apposita disciplina, nulla può rappresentare motivo di sospetto. Al contrario, se ci fosse una regolamentazione in tal senso, sarebbero quanto meno bizzarri eventuali incontri “di lavoro” (come accaduto a Roma) al tavolino di un bar o in un autosalone durante l’orario di chiusura.

Raffaele Cantone, Presidente Anac
 
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