Di Maio sonda i big M5S: quanti stanno con me?

Di Maio sonda i big M5S: quanti stanno con me?
di Mario Ajello
Sabato 7 Dicembre 2019, 11:36
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ROMA O io o io. La resistenza di Di Maio per restare capo politico M5S si fa sempre più estrema. Ma il leader è solo, gli è restato soltanto Fraccaro al fianco, che è l'unico ad esporsi in difesa di Luigi: «La leadership di Di Maio non è in discussione». Se fosse così, Di Maio ieri mattina non avrebbe fatto sondare i 14 capigruppo M5S nelle commissioni parlamentari che avrebbero in animo di presentare un testo di sfiducia del capo politico.
Mercoledì sera, in una riunione riservata, hanno messo sotto accusa la strategia anti-governo del leader. «Fare la voce grossa nel tentativo di imporre l'agenda M5S come faceva Salvini con noi, avrebbe senso se poi desse qualche risultato: ma se i sondaggi continuano a darci in discesa, allora significa che qualcosa si sta sbagliando» racconta un deputato. Così, i capigruppo hanno detto a Di Maio molto chiaramente che tutti o quasi gli eletti grillini sono contro di lui, ma Luigi fa mostra di non crederci. «Sì e no - cerca di tranquillizzarsi Di Maio - saranno una decina i frondisti su centinaia e centinaia di parlamentari. Vengano fuori e mi sfidino». Riservatamente blandisce tutti i suoi oppositori, interessati anzitutto e a qualsiasi costo a restare in Parlamento: «Guardate che non sono io che voglio andare al voto, è il Pd che ormai pensa solo a quello».
E comunque non parte ancora apertamente la sfida a Di Maio perché c'è un problema. «La ricerca del capo alternativo non sta portando frutti», sintetizza un influente parlamentare vicino a Roberto Fico. Come dice Paragone, il senatore filo-leghista e al momento filo-Di Maio: «Luigi è debolissimo. Magari lui nel suo biglietto da visita c'ha scritto capo politico del M5S. Ma è evidente che non esercita più alcuna leadership. Eppure la sua forza residua sembra superiore alla somma delle inconsistenze di tutte le altre sedicenti alternative». La suggestione Patuanelli non cresce. Si agita molto Morra. Organizza incontri, denominati Identità 5Stelle e viene descritto così: «Sta smaniando per fare il leader». Ma ecco il senatore Giarrusso, attacca: «È venuto il momento di sfiduciare apertamente Di Maio. Dice che solo 10 parlamentari sono contro di lui? La verità è che solo dieci parlamentari sono con lui». E se davvero ricomincia a fare coppia con Dibba, i 10 magari diventano 5.

FATTORE GRILLO
Di fronte a tutto ciò Di Maio un po' gonfia il petto («I giornaloni scrivono solo falsità, nessun problema nel movimento») e un po', anche per non irritare ulteriormente Grillo, arretra: «Ma io non voglio affatto far cadere il governo». Il big bang pentastellato potrebbe scattare però con la risoluzione sul Mes per il 10 e l'11 dicembre. Risoluzione che, se presentata da soli e senza il Pd, rischia di creare una specie di secondo caso Tav con M5S che si vota in solitudine il suo testo, gli altri partner del governo un altro, le opposizioni un altro ancora e la maggioranza che evapora. Il timore, in gran parte del gruppo, interessato soprattutto alla prosecuzione della legislatura e alla strenua permanenza sulla poltrona, è che a forza di tirare la corda alla fine si torni al voto e nessuno è disposto a permettere a Di Maio di fare questo.
Sul Mes può saltare tutto, perché ci sono grillini che su questo punto mai cederanno. Come Elio Lannutti o Gianluigi Paragone al Senato e altri potrebbero aggiungersi, per esempio Toninelli. E come, alla Camera, il veneto Alvise Maniero - uno che su Rousseau votò contro l'accordo di governo M5S-Pd - o l'altro veneto Raphael Raduzzi e non solo loro. L'altro appuntamento è all'indomani del voto in Emilia e in Calabria. E lo spartito anti-Di Maio è già pronto, tra i parlamentari stellati e, senza dirlo, pure tra i ministri: «Ma può restare al suo posto uno che ci ha portato da quasi il 40 per cento dei voti al 10, se va bene?».

 
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