Spese militari, no di M5S. Draghi va da Mattarella: patto di governo a rischio

Fumata nera dall’incontro con Conte. Verso la fiducia. Ma M5S: la voteremo

Spese militari, alta tensione Draghi-Conte: il premier al Quirinale da Mattarella
Spese militari, alta tensione Draghi-Conte: il premier al Quirinale da Mattarella
di Francesco Malfetano
Martedì 29 Marzo 2022, 20:03 - Ultimo agg. 30 Marzo, 11:51
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Per comprendere appieno la giornata di ieri bisogna partire dall’epilogo. A sera Mario Draghi è salito al Quirinale per un incontro non programmato con il presidente Mattarella. Il tema è l’aumento degli investimenti militari fino al 2 per cento del Pil. Il motivo è l’irritazione del premier per le posizioni rimarcate ieri da Giuseppe Conte («Abbiamo valutazioni diverse» ma «abbiamo diritto ad essere ascoltati»). L’incontro tenuto tra i due nel pomeriggio infatti non è riuscito a sbloccare l’impasse in cui è finito il governo, ormai pronto a ricorrere alla fiducia sul Ddl Ucraina. Anzi. L’ora e mezza di batti e ribatti è stata molto tesa e ha ampliato la frattura tra i pentastellati e il resto della maggioranza. Se Draghi ha spiegato ancora una volta all’avvocato 5S come l’esecutivo intenda rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato, Conte ha invece sottolineato di nuovo come «l’aumento della spesa militare ora è improvvido».

Un braccio di ferro che, nonostante le rassicurazioni di facciata contiane («Non ho sollevato nessuna crisi di governo. Draghi avrà pure il diritto di informare il presidente Mattarella») Palazzo Chigi non vuole tollerare. Tant’è che, trapela, se venissero messi in dubbio i cardini dell’intesa con gli Alleati atlantici, «verrebbe meno il patto che tiene in piedi l’esecutivo». L’irritazione è palese. Anche tra i partiti. Specie dal Nazareno, da cui subito fanno sapere di un Enrico Letta molto preoccupato. Non solo. Matteo Renzi attacca a modo suo: «Draghi è uno statista, Conte è un populista». E non usa mezzi termini la ministra Gelmini: «Questo è il momento della responsabilità». Anche nei 5S rinnovati nel vertice (lunedì la riconferma dell’avvocato come leader), torna ad evidenziarsi la spaccatura con i dimaiani: «Non ha senso» sibilano. Meno netta la Lega: «Leali al governo, senza voler portare l’Italia in guerra e lavorando per la pace».

In generale a farla da padrone è lo sconcerto. Vanno creandosi le condizioni per la fine del governo attuale a causa di piani concordati nel 2014 e seguiti dai vari inquilini di Palazzo Chigi. Conte compreso. Da allora ad oggi infatti tutti i premier hanno avallato, entro il 2024, un continuo progressivo aumento degli investimenti. Anzi, a guardare i bilanci della Difesa durante la gestione dei governi guidati dal leader 5S, ne viene fuori un’immagine impietosa che - questa la linea che emerge dalla maggioranza - fotografa il situazionismo politico con cui Conte si sta approcciando ad un momento tanto delicato. Se i conti del 2018 infatti erano sostanzialmente uguali a quelli del 2008, da lì in avanti la spesa è cresciuta del 17 per cento.

I passaggi

Riavvolgendo il nastro della complicata giornata di ieri, lo scontro è in realtà deflagrato già in mattinata. Cioè quando il governo ha accolto l’ordine del giorno presentato in commissione Esteri al Senato dal partito di minoranza Fratelli d’Italia. Un odg con cui si impegna, appunto, a raggiungere la soglia del 2 per cento sulle spese militari. Una vera e propria mina nel campo governativo, disinnescata però escludendo all’ultimo la richiesta di voto. Scelta, quest’ultima, che se da un lato era inevitabile per preservare la maggioranza, dall’altro ha finito con l’inasprire gli animi. «I senatori del M5S hanno chiesto di votarlo perché sarebbe stato respinto» ha detto infatti Conte, palesando - prima dell’incontro con Draghi - l’impossibilità di un accordo tra i partiti. Ora l’appuntamento è in Aula. Oggi alle 9.30 inizierà a Palazzo Madama la discussione generale del dl Ucraina. Testo su cui, stando così le cose, l’apposizione della questione di fiducia appare quasi scontata. Non lo è affatto invece che i 5S facciano davvero ciò che minacciano. Al netto di singoli voti discordanti o colpi di scena, dovrebbe comunque arrivare il loro sì. Tant’è che Conte mette le mani avanti: «Nel Def non ci siano fughe in avanti» sull’aumento delle spese militari. Uno scoglio per ora allontanato perché il documento, previsto in Cdm giovedì, arriverà a Palazzo Chigi solo il 5 o il 6 aprile. Francesco Malfetano

 

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