Draghi, un governo per la ripartenza: i 23 ministri più politici che tecnici. Oggi il giuramento

Draghi, un governo per la ripartenza: i 23 ministri più politici che tecnici
Draghi, un governo per la ripartenza: i 23 ministri più politici che tecnici
di Mario Ajello
Sabato 13 Febbraio 2021, 00:19 - Ultimo agg. 11:04
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Confermati i big da Franceschini a Speranza e a Di Maio. E comunque: più politico che tecnico (15 a 8), a dispetto delle aspettative, il governo Draghi. Più in continuità che in discontinuità, e anche questa è una mezza sorpresa, rispetto al Conte 2. E guardando chi Draghi ha destinato nei posti cruciali della ripartenza del Paese, nei ministeri centrali per il piano del Recovery, si nota che in quei posti - basti pensare a Colao, per non dire di Daniele Franco al Mef - ci sono i tecnici di sua diretta emanazione in sintonia con il Colle. L’età media dei ministri è di 54 anni. Il 33 per cento sono donne. E 3 su 4 - secondo il calcolo immediato dell’agenzia Dire - vengono dal Settentrione, con addirittura otto lombardi. Tra cui la nordista Gelmini alle Autonomie. 

E dunque c’è il governo Draghi. Non ci è voluto tanto tempo per prepararlo e per presentarlo. E così s’è sciolto il grande mistero. Quello per cui, per la prima volta da tantissimo tempo, e secondo il dettato costituzionale, il premier incaricato ha fatto tutto da solo senza dire niente a nessuno a parte che al Capo dello Stato. Con cui Draghi è stato sempre in contatto in questi giorni - senza far trapelare nulla di nulla agli altri - per formare la squadra.

Questa strategia della silenzio, dei fatti da produrre senza arabeschi e senza distrazioni comunicative, al netto di trattative estenuanti e in nome di una linearità finora sconosciuta al contesto politico-mediatico dove tutti conoscono tutti e ognuno dice la sua in un continuo rimescolamento delle carte, Draghi l’ha mantenuta fino alla fine. Fino al momento di salire sul Colle, di uscire dallo studio di Mattarella senza fare dichiarazioni ma solo elencando i nomi dei prescelti e di discendere dal Quirinale. 

Draghi fa una notazione molto notarile uscendo dal colloquio sul Colle di 45 minuti con Mattarella. Dice: «Buonasera, vi leggo la lista dei ministri». Ha la solita cravatta di Hermes, la mascherina nera che non si toglie dal viso e la sua auto privata - la station wagon grigia, marca tedesca con cui alle 19 è arrivato al Quirinale - lo aspetta in cortile. La velocità, la secchezza, l’assoluta brevitas con cui Draghi annuncia i nomi dei ministri rientrano in pieno nello stile anti-retorico che da subito ha sfoggiato il premier incaricato. E denota un’esigenza di mettersi subito al lavoro. Nulla concedendo allo spettacolo cui la politica italiana è abituata e di cui vive sempre di più rischiando di allontanarsi dalla voglia di concretezza e di risolutezza che a chi li governa i cittadini chiedono in condizioni normali e lo fanno ancora di più in questa fase di eccezionalità dovuta alla pandemia e alle sue ricadute economiche e sociali devastanti. 

Oggi alle 12 con i ministri Draghi giurerà al Quirinale e poi la fiducia mercoledì. Per ora, nell’assenza di parole di commento da parte sua, c’è soltanto alla fine dell’elencazione dei nomi dei ministri un sorriso di SuperMario davanti al microfono del Quirinale e alle dirette tivvù. Come a dire senza dirlo, ai partiti: fidatevi di me. E non fate troppi capricci. E come dire agli italiani: siete in buone mani, ho la convinzione che se mi fanno lavorare lavorerò e dobbiamo crederci. Quando lui è partito da casa, alle 18,45, da Viale Bruno Buozzi ai Parioli, per raggiungere il Quirinale, una ventina di persone lo stavano aspettando sotto casa. E gli hanno gridato: «Forza Draghi!». Stessa incitazione ripetuta poco dopo davanti al Quirinale. Le telefonate ai ministri per dire loro che erano diventati ministri quando sono partite? Poco prima che Draghi si mettesse in auto per portare l’elenco a Mattarella. «Sono stato chiamato poco dopo le 18 personalmente dal premier incaricato», dice uno dei nuovi ministri. E gli altri, idem. Draghi ha saputo usare insieme l’innovazione che gli richiedono la situazione e il Paese ma anche il manuale Cencelli per rassicurare i partiti. 

Di fatto, nasce un governo particolarissimo nella storia italiana, con un numero uno che ha fatto molta ingerenza nella vita dei partiti e anche negli equilibri correntizi (sia nel Pd sia nei 5 stelle) guidando le danze e non facendosi condizionare.
 

 

LA LISTA

I ministri senza portafoglio:
- Federico D'Incà ai Rapporti con il Parlamento;
- Vittorio Colao all'innovazione;
- Renato Brunetta alla Pubblica amministrazione;
- Maria Stella Gelmini agli Affari regionali;
- Mara Carfagna al Sud;
- Elena Bonetti alle Pari opportunità;
- Erika Stefani alle Disabilità;
- Fabiana Dadone alle Politiche giovanili;
- Massimo Garavaglia ministro del Turismo.

Con portafoglio:
- Luigi Di Maio al dicastero degli Esteri;
- Luciana Lamorgese all'Interno;
- Marta Cartabia ministro della Giustizia;
- Lorenzo Guerini alla Difesa;
- Daniele Franco all'Economia;
- Giancarlo Giorgetti ministro Sviluppo Economico;
- Stefano Patuanelli all'Agricoltura
- Roberto Cingolani alla Transizione ecologica.
- Roberto Giovannini ministro per le Infrastrutture,
- Patrizio Bianchi, ministro dell'Istruzione;
- Cristina Messa titolare dell'Università;
- Andrea Orlando titolare del Lavoro;
- Dario Franceschini alla Cultura
- Roberto Speranza alla Salute.

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