M5S choc, fuori dal Consiglio calabrese. E Bugani nell’urna ha scelto Bonaccini

M5S choc, fuori dal Consiglio calabrese. E Bugani nell urna ha scelto Bonaccini
M5S choc, fuori dal Consiglio calabrese. E Bugani nell’urna ha scelto Bonaccini
di Simone Canettieri
Martedì 28 Gennaio 2020, 09:22
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Dietro la disfatta dei numeri, ci sono i volti di chi per mesi si è fatto la guerra. Linee contrapposte che si sono affrontate senza pietà: dichiarazioni pubbliche, riunioni incandescenti, minacce di uscire dal gruppo.
Storie allo specchio. In Calabria, dove il M5S non elegge nemmeno un consigliere regionale; ma anche in Emilia Romagna, dove i seggi grillini sono due, ma il candidato governatore, Simone Benini, colui che a mezzanotte ha commentato «soddisfatto» i risultati, è fuori. A fare da collante a queste due regioni, così grandi e popolose ma diversissime politicamente tra loro, c'è appunto il «come approcciarsi» ai dem. Alla fine ha vinto il solipsismo, come decretato dagli iscritti che si sono espressi su Rousseau, nonostante il parere contrario dei vertici.

E i risultati oggi sono sotto gli occhi di tutti. Prendiamo l'Emilia Romagna, dove tutto nacque, dal Vaffa-day alla conquista di Parma con Federico Pizzarotti («Sarà la nostra Stalingrado», disse un elettrico Grillo in piazza della Pilotta) un altro che in queste ore si sta prendendo una rivincita niente male, visto che nel frattempo è stato cacciato con ignominia e rieletto al secondo mandato con una lista civica. Dalle politiche del 2018 all'altra notte nella regione rossa per eccellenza sono andati in fumo circa 600mila voti. Un tesoro incredibile, figlio di battaglie ambientaliste e banchetti sotto l'acqua e sotto il sole.

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Si è passati dunque dal 27,5% che spinse Di Maio verso il ruolo di vicepremier con la Lega al 4,7% di queste regionali. In mezzo, il campanello dall'allarme delle ultime Europee: un 12,9% (pari a 290mila voti) che avrebbe dovuto far scattare più di un sensore. Uno che l'ha detto in tutte le salse («Ragazzi, occhio si va a sbattere»), beccandosi anche adesso il soprannome di Cassandra, è Max Bugani, primo iscritto nel 2005 al meet-up di Bologna. Tessera numero 1 si direbbe nel Pd. Bugani c'era. Era in prima fila nel 2007 nel mitico Vaffa-day con Grillo che si faceva trasportare in piazza Maggiore dall'onda della folla a bordo di un gommone (ah, quanto sardinismo in nuce). Bugani adesso passa come eretico: ha rotto con Di Maio (e lavora in Campidoglio con Virginia Raggi) e non è più nemmeno socio di Rousseau, il gioiellino della Casaleggio associati venerata, quanto mal sopportata dai parlamentari. «Max», che è anche consigliere comunale a Bologna, è stato il primo a proporre un logico patto di desistenza. O, proprio in alternativa, un accordo, con il Nazareno. Con Bonaccini i contatti nei mesi scorsi ci sono stati eccome, ma senza risultati. E così, vox clamantis in deserto, l'altra notte l'ex responsabile del M5S in Emilia Romagna ha parlato di «Waterloo già scritta». Perché «fermarsi non voleva dire scappare, ma usare il cervello». Ma non si è voluto ascoltare «chi conosce bene questa terra», «d'altronde non ci voleva una sfera di cristallo per vedere il burrone davanti al Movimento 5 Stelle». Bugani, racconta chi lo conosce bene, domenica ha votato Stefano Bonaccini come candidato presidente, e non Benini. Non solo non è escluso che, tra rabbia e delusione, abbia lasciato intonsa la parte della scheda dove poter esprimere il voto alla lista.

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Chissà. Ormai non c'è più nulla di cui stupirsi in questa diaspora. Che in Calabria ha avuto altri momenti di puro caos. Un pezzo di parlamentari, capeggiati dal giovane Riccardo Tucci, fin dal primo momento era per proporre Pippo Callipo come candidato di raccordo con i dem. Ma poi sono nati i problemi e i distinguo. Come quelli di Dalila Nesci che non solo ha detto «no», ma si è proposta in tutti i modi: «Sono pronta a correre». Alla fine è stato scelto Francesco Aiello, il docente universitario che comunque non piaceva a tutti (nella lotta nel fango è uscita fuori anche la storia di un cugino, deceduto, affiliato alla ndrangheta che ha scatenato gli istinti peggiori per regolare conti e malumori).

E così anche la Calabria, dove al M5S sono mancati perfino i voti di tutti coloro che hanno preso il reddito di cittadinanza, si è scivolati con agilità dal 43,3% del 2018 a questo 6,3% di domenica. Un precipizio, anche in questo caso, avvisato dal 27% delle Europee.

Nicola Morra, senatore e presidente della Commissione Antimafia da sempre contrario alla leadership di Di Maio e al capo politico come istituzione, adesso mastica molto amaro. «Qui in Calabria l'85% del corpo elettorale si è orientato o per Santelli o per Callipo. Il restante 15% potrebbe essere considerato il voto di opinione, quello che noi del M5s non siamo riusciti ad intercettare e che è l'unico voto politico. Noi abbiamo avuto il 7,35%. L'altro candidato, Tansi, ha ottenuto pochi voti meno di noi». Sipario. Ma tranquilli in primavera ci saranno nuove elezioni regionali.
 

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