Elezioni europee, crollo M5S. A Roma pesa anche l’effetto Raggi. Voti in fuga nel Sud

Elezioni europee, crollo M5S. A Roma pesa anche l’effetto Raggi
Elezioni europee, crollo M5S. A Roma pesa anche l’effetto Raggi
di Simone Canettieri
Lunedì 27 Maggio 2019, 03:27 - Ultimo agg. 18:23
4 Minuti di Lettura

Tarda notte, il Campidoglio è disabitato. E chiuso. Per lutto? Quasi. La sindaca Virginia Raggi segue i risultati da casa, lontana dai vertici del M5S. Su Roma, la Capitale controversa e problematica del grillismo di governo, piovono i dati di questa tempesta perfetta: il Pd è il primo partito, seconda la Lega. I pentastellati inseguono un 20%, senza mai toccarlo. Anzi, più passa il tempo e più la media nazionale si allontana. Alla fine si attesterà su circa un punto percentuale in meno. Per il Movimento di Luigi Di Maio è una crisi nazionale: l’epicentro è a Roma e il virus ha contagiato anche il Sud.

Elezioni europee, risultati a Roma quartiere per quartiere: boom Lega in periferia, Pd vince a Garbatella
Elezioni Europee, risultati: trionfo Lega, crollo M5S. Pd secondo partito, Fdi vicina a Fi

«I cittadini vanno sempre ascoltati», si limita a far trapelare Raggi, rassegnata a pagare lo scotto di questo risultato. Soprattutto perché il Pd di Nicola Zingaretti è davanti a tutti, nonostante le politiche di “sinistra” messe in piedi dalla giunta pentastellata (dai rom alla guerra a CasaPound), nonostante la forte polemica quotidiana con la Lega di Salvini. La strategia a Roma non ha funzionato. E gli elettori sembrano aver scelto l’originale (il Pd) a fronte di una copia (il M5S rosé). In Campidoglio mettono subito le mani avanti: «Ricordiamoci sempre che il segretario del Pd è anche il governatore del Lazio».

Elezioni europee 2019, Di Maio: «Scontiamo astensione al Sud. Ora testa bassa e lavorare»

L’unica mezza nota positiva è rappresentata dall’exploit di Fratelli d’Italia (nell’Urbe davanti a Forza Italia) che toglie alla Lega la palma del primo partito a Roma, ma è una vittoria di Pirro. Anzi, un pannicello caldo. Nella notte più lunga del M5S, la Capitale è solo uno dei tanti campanelli che suonano all’impazzata. Di Maio è barricato dentro la sua stanza con i ministri Elisabetta Trenta e Alfonso Bonafede. E non ha intenzione di farsi vedere in tv. Di tanto in tanto si affacciano Manlio Di Stefano e Stefano Buffagni, sottosegretari di peso. «Ora dobbiamo resistere al governo. E comunque abbiamo fermato l’emorragia: dopo l’Abruzzo eravamo morti. Matteo? Non romperà. Perché? Forza Italia è ancora viva». 
 



L’ANALISI
Il Capo politico aveva previsto la vittoria della Lega, ma il sorpasso del Pd no. «Un disastro», si lascia sfuggire un colonnello del M5S al Senato. Il vero dato che ha colpito i vertici pentastellati riguarda il Sud. La rivolta del Meridione che non è andato a votare, che non ha scelto in massa il Movimento. Nonostante il reddito di cittadinanza. «Il problema non è certo Barbara Lezzi, titolare del Sud, se non siamo riusciti a far passare i nostri messaggi: il tema è più profondo». E cioè, questa la spiegazione che gli uomini di Di Maio lasciano filtrare, «nel Centro-Sud le europee non sono sentite, chi vive in Sicilia o in Puglia o in Calabria percepisce come lontane le cose di Bruxelles».

Nel M5S le prime amare riflessioni riguardano le scelte compiute dal capo politico. La prima: nominare cinque capilista esterne. «Persone sconosciute che hanno scalzato i big uscenti: una mossa non proprio azzeccata perché non hanno portato un valore aggiunto». Prima di contare dunque le preferenze si ragiona sulla mossa, molto renziana, che però questa volta non ha funzionato. Di Maio si consola anche con un altro ragionamento: «La Lega e FdI non raggiungono il 40%, hanno ancora bisogno di Forza Italia: dunque Matteo andrà avanti con noi, non tornerà mai con Berlusconi».

Sul fronte del programma la cosa si mette ancora di più in salita: la tentazione sarebbe quella di bloccare la Tav tirando fuori che in consiglio dei ministri la maggioranza rimane pentastellata, ma potrebbe essere un azzardo nei confronti del Carroccio. La truppa parlamentare è in fermento. Così come l’ala sinistra dei grillini che rimprovera a Di Maio «troppi mesi di sudditanza nei confronti della Lega, così siamo scesi e poi rialzarci è stato un problema, come stiamo vedendo». Domina comunque l’amarezza in quello che fino a un anno fa era il primo partito italiano e che ora è il terzo. La reazione su questo fronte prevede due mosse: far partire il prima possibile un’organizzazione interna del M5S «per essere presenti sui territori» e cambiare i sottosegretari «che finora non hanno funzionato, soprattutto quelli che fanno capo a ministri leghisti: molti dei nostri – spiegano dalla Camera – sono stati inesistenti». Problemi del domani, ma questa notte bussa il presente: «Dobbiamo resistere».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA