Biden, Gentiloni: «Clima, sanità, commercio, è una svolta per l'Europa»

Biden, Gentiloni: «Clima, sanità, commercio, è una svolta per l'Europa»
Biden, Gentiloni: «Clima, sanità, commercio, è una svolta per l'Europa»
di Mario Ajello
Lunedì 9 Novembre 2020, 00:10 - Ultimo agg. 11:42
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Ora che ha smesso di abbracciarsi da solo, onorevole Gentiloni, commissario Ue agli Affari economici, come crede che cambierà la vita degli europei sull’onda del voto americano?
«Le cose cambieranno molto. Minimizzare sarebbe un errore. Certo, il mondo è quello di prima, ma il fatto che il leader politico più influente vada in una direzione molto diversa da quella del suo predecessore è una novità importantissima dentro e fuori dagli Stati Uniti, per noi europei e persino per la politica nei singoli Paesi».

Per l’Europa che cosa dobbiamo aspettarci?
«Un presidente che crede nei rapporti con la Ue e nei valori transatlantici. La recente ricerca di Pew Institute ha registrato qualche mese fa il più basso livello di consenso, da parte degli europei verso gli Stati Uniti, da alcuni decenni in qua. La presidenza Trump ha vissuto i Paesi della Ue più come concorrenti economici che come alleati. Questo non ha ridotto il deficit commerciale americano ma ha scalfito una solidarietà che va ripristinata. E sono certo che Biden la ristabilirà. Il cambiamento più importante per il mondo e per l’Europa riguarderà la politica ambientale».

Si ritorna agli accordi di Parigi sulla lotta climatica?
«L’intenzione di Trump di uscire da quegli accordi, di cui io fui testimone al G7 di Taormina, si è concretizzata per motivi tecnici solo questo 4 novembre, cioè il giorno dopo l’Election Day, ed è simbolico che verrà capovolta dal presidente eletto nelle stesse ore.

Questa è una novità straordinaria per tutti e in particolare per l’Europa che ha fatto della lotta al cambiamento climatico la sua carta d’identità». 

Da America First a America is Back, insomma? 
«Sì, Biden si è proposto come portatore di un ruolo tradizionale e multilaterale dell’America. Mi aspetto dalla nuova amministrazione un atteggiamento diverso sull’Organizzazione mondiale della sanità e, cosa fondamentale per noi europei, sull’Organizzazione mondiale del commercio che ultimamente l’amministrazione americana aveva messo in crisi». 

In che misura ciò significa un ritorno degli Usa a un ruolo di leadership politica globale? 
«Questo lo vedremo. Non mi aspetto grandi cambiamenti nel rapporto con la Cina e con la Russia, se non sul piano dello stile, che sarà sicuramente più sobrio e coerente. Non direi che ci saranno sostanziali cambiamenti per quanto riguarda i rapporti con Israele, di cui Biden è grande sostenitore. Ma è da vedere se, e in quale misura, la linea di graduale disimpegno dai diversi teatri internazionali proseguirà. Mi auguro che l’America rafforzi il proprio ruolo nel Mediterraneo e non escludo passi in questa direzione. So che il dossier libico è ben conosciuto da Anthony Blinken, storico consigliere di Biden per la politica estera e a suo tempo numero due di Kerry». 

Lei Biden lo conosce personalmente?
«L’ho incontrato solo in occasioni istituzionali. Biden, presidente cattolico, con grande ammirazione per il nostro Paese e per la sua cultura e con grande conoscenza dei problemi europei, per l’Italia è un’occasione. Anche perché dal primo gennaio noi avremo la presidenza del G20. E questo non è solo il luogo d’incontro dei leader dei 20 Paesi ma anche la sede in cui si stanno cercando intese su questioni cruciali per il nostro futuro: prima fra tutte la Digital Tax». 

Va bene, cambiamenti in vista. Ma lei mica starà sottovalutando che quasi mezza America è rimasta fedele a Trump e che Biden avrà condizioni di governabilità difficilissime?
«Non sottovaluto affatto queste cose. Sul piano internazionale e dell’evoluzione della politica siamo di fronte a uno spartiacque. Ma allo stesso tempo vedo tutte le complicazioni dell’agenda interna di Biden. L’America resta divisa. E’ possibile che il Senato resti nelle mani dei Repubblicani che comunque hanno dimostrato una grande forza in questo voto. Le difficoltà per Biden non mancheranno affatto, ma nel voto conta chi vince. E ha vinto un moderato capace di tenere insieme anche le anime più radicali dei Democratici e ha perso chi, come Trump, ha fatto il surf sul disagio dei bianchi della classe media. I quali tra 20 anni saranno meno del 50 per cento degli americani e di cui però il moderato Biden ha conquistato una parte molto significativa. Ora bisognerà vedere, a proposito delle indubbie difficoltà che incontrerà Biden, come andranno a finire i ballottaggi per il Senato del 5 gennaio». 

Il populismo perde ma resiste?
«Questo senz’altro e restano molte preoccupazioni. Ma il fatto che comunque il populismo nazionalista abbia perso in America può significare un cambio di stagione generale. Può essere l’avvio di un ciclo, come è accaduto in passato in alcune vittorie elettorali americane: penso a quelle di Reagan e di Clinton. Questo cambio di stagione sarà fortissimo da subito sul Covid. E sarà la prima prova, per tutto il mondo, di quanto sia importante che abbia vinto un presidente americano con la mascherina». 

La lotta al virus richiede ai politici una competenza più forte che in tempi normali?
«Come si fronteggia il Covid è naturalmente la questione fondamentale di questa fase. E la mascherina di Biden è un simbolo. Insieme a questo, il successo dei Dem contiene altri simboli che parlano a tutti. C’è per la prima volta una donna vicepresidente, e ha origini indo-giamaicane. C’è l’abbandono dell’eccesso di partigianeria che diventa faziosità. C’è il richiamo, che non deve sembrare banale, alla verità nelle parole dei leader politici e quindi la rinuncia ai discorsi di odio e alle fake news. Ci sono i diritti delle minoranze. C’è la difesa del servizio sanitario universale. Sono contenuti che disegnano anche in Europa il profilo di una politica democratica non nazionalista e non populista». 

Dunque la sinistra europea e italiana ha trovato un altro modello, dopo averne cambiati e sprecati tanti? 
«Intanto, quello che i fatti ci dicono sta in una doppia immagine. La scorsa elezione presidenziale avveniva sotto la regia di un intellettuale conservatore estremista, Steve Bannon, che in 4 anni è approdato a posizioni deliranti. La vittoria di Biden avviene invece con il contributo fondamentale di una insegnante che vuole continuare a fare l’insegnante, ossia Jill, la moglie di Biden». 

Quindi la nostra sinistra deve riconnettersi ai bisogni della gente - il lavoro ma anche la sicurezza - più che insistere sui diritti civili? 
«Se Biden ha vinto, vuol dire che è riuscito a fare sintesi tra i valori e gli interessi economici. I Democratici americani e la sinistra europea non possono disertare nella difesa di entrambi». 

Si vince al centro e Biden ne è la riprova?
«Non dobbiamo dare di questo concetto, cioè il centro, un’interpretazione semplificata. In una situazione così polarizzata come quella americana, tra un dem moderato capace di includere le anime radicali e del suo partito e un repubblicano che quelle anime radicali della propria parte politica incarnava, ha vinto Biden. Io sono appassionato sostenitore del bipolarismo e nel bipolarismo vince la sinistra soltanto se sa essere riformista e inclusiva».

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