Letta e l'addio difficile a M5S: alleati alle Regionali, separati alle Politiche

Oggi Primarie rosso-gialle in Sicilia, poi l'incognita Lazio. E Conte «respinge la strategia dei due forni»

Letta e l'addio difficile a M5S: alleati alle Regionali, separati alle Politiche e
Letta e l'addio difficile a M5S: alleati alle Regionali, separati alle Politiche e
di Mario Ajello
Sabato 23 Luglio 2022, 08:14 - Ultimo agg. 26 Luglio, 19:56
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Giuseppe Conte non fa che ripetere: «Il campo largo esiste ancora». Enrico Letta non fa che dire: «Non più campo largo ma mare aperto». E dunque, è finita e può finire davvero tra i rossogialli? Ma certo. Ma certo anche no. Ovvero il Pd non vuole Conte ma, facendo i calcoli elettorali, non può rinunciare alla sponda dei grillini anche se quelli sono i figli della colpa della caduta del governo Draghi. Conte, a dispetto degli strali che riceve dai dem, ma non da tutti, ha buon gioco nel dire: «Con il Pd il discorso non è chiuso, facciamo sbollire la loro rabbia e sapremo come riparlarci». «Macché, il rapporto è saltato e non è ricostruibile», taglia corto Franceschini. Ma Franceschini non è Letta (e non lo è mai stato) e quanto a Letta faccia comodo la sponda stellata (nonostante l'ira per come è stato defenestrato Draghi) lo dimostrano le primarie di oggi in Sicilia tra i rossogialli per scegliere il candidato presidente regionale per le elezioni di ottobre.

Non esiste Pd al Sud senza grillini e dunque il Pd vuole mollare Conte ma non può e Conte si fa forte di questa consapevolezza. Ha eliminato guarda caso nella sua retorica ogni riferimento e ogni compiacimento per aver abbattuto Draghi e fa questo proprio per rabbonire Letta, per spingerlo a dimenticare il misfatto e per intrecciare nuovamente una storia (magari post-elettorale, perché al voto M5S vuole andare da solo in chiave super-combat tra Dibba e Virginia Raggi e l'ex avvocato del popolo ridiventato populista a caccia dei voti identitari e di pancia che in alleanza con i dem non avrebbe mai). Ieri Conte ha gettato infatti il sasso nello stagno: «Basta arroganza da parte del Pd contro di noi. In queste ore si vota alle primarie in Sicilia. Quello che si fa a Palermo si deve fare a Roma. Non accettiamo la politica dei due forni». E così, per lui non è successo niente (Draghi è caduto? Ma davvero?) e il Pd è costretto a dire di non voler più M5S ma M5S gli serve, e non solo a Palermo. Basti pensare alle regionali nel Lazio, dove Zingaretti (che lascerà prima per candidarsi alle politiche) con gli stellati è andato d'amore e d'accordo e il rapporto lo si vuol far continuare.
Ci sono ancora filo-contiani (Orlando: «M5S ha sbagliato, ma il nostro avversario è la destra») tra i dem, e dalle parti del segretario non si ha paura di ammettere: «Senza M5S non vinciamo neppure un collegio uninominale nel Mezzogiorno».

La paura lettiana è che finisca come nel 2008 o come nel 2018 nel Sud. Ovvero: nel 2008 il centrodestra si prese quasi tutti i collegi uninominali, e la sinistra non toccò palla, e nel 2018 la stessa cosa: ma con M5S che fece man bassa.

Tensioni e contorsioni 

Allarme rosso, anzi giallo, al Nazareno, dunque. E parlare di grillini come dei «folli» (come fa il segretario) e dire che «basta e mai più» e rispolverare la «vocazione maggioritaria» ossia la solitudine dei migliori contro gli sfascisti contiani sono discorsi legittimi, comprensibili e quasi ovvi. Poi però la crudezza dell'aritmetica politica e la legge elettorale vigente, quel Rosatellum che non si è riusciti a cambiare e perfino un maggioritarista come Letta si era deciso a farlo, costringono a scendere a più miti consigli. E a constatare che il rosso senza il giallo stenta e rischia di farsi molto male. Stare insieme non si può (anche perché Conte vuole l'azzardo solitario per far contenti i suoi pasdaran da cerchio magico e poltrona probabile) e stare separati costa un prezzo altissimo per Letta.
E intanto è tutto pronto per le primarie siciliane del campo progressista che non c'è più ma c'è ancora. In lizza per scegliere il candidato alla presidenza della Regione ecco Caterina Chinnici del Pd, Claudio Fava dei Centopassi e Barbara Floridia del M5s. E on line o ai gazebo si vota fino alle 22 di stasera. Ma il clima, tra l'Isola e il Continente, è surreale. Con Lorenzo Guerini, super big del Pd con largo seguito, che non si dà pace: «Chi è stato protagonista della caduta del governo Draghi non può essere interlocutore del nostro partito». E invoca quella «chiarezza» che proprio non c'è.

 

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