Fratelli d'Italia, la festa a piazza del Popolo per i 10 anni. La Russa: «Convinto che le nostre idee avrebbero trionfato»

Fratelli d'Italia, la festa a piazza del Popolo per i 10 anni. La Russa: «Convinto che le nostre idee avrebbero trionfato»
Fratelli d'Italia, la festa a piazza del Popolo per i 10 anni. La Russa: «Convinto che le nostre idee avrebbero trionfato»
Giovedì 15 Dicembre 2022, 17:15 - Ultimo agg. 21:32
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È la festa dell'orgoglio, per una scelta fatta 10 anni fa «senza paura», tagliando il cordone ombelicale con il centrodestra del "patron" Berlusconi. E una scelta che 10 anni dopo ha pagato con la guida del governo e la prima donna a Palazzo Chigi. Fratelli d'Italia celebra quell'azzardo - che portò alla nascita del partito ufficializzata il 21 dicembre 2012 - e apre la sua festa tornando in piazza. Nel tendone allestito fino a sabato in piazza del Popolo a Roma, niente trionfalismi né troppa retorica da amarcord. Entusiasmo sì (del resto la vittoria elettorale del 25 settembre non è mai stata festeggiata davvero) unito alla certezza di essere (ancora) dalla parte giusta.

Interpreta quello spirito Ignazio La Russa, da due mesi presidente del Senato: «Dieci anni fa non ci ponevamo limiti al successo di quella scelta: i tempi potevano essere indefiniti, ma io ero certo che le nostre idee avrebbero trionfato», ricorda dal palco.

Dentro e fuori alla tensostruttura è soprattutto la tradizione a vincere. Quella del Tricolore stilizzato all'ingresso e delle luci rosso-bianco e verde dietro al palco. O la casetta di Santa Claus e degli elfi allestite nell'altra parte della piazza, insieme allo stand dei presepisti di San Gregorio Armeno. Agli avversari politici solo un accenno ironico con una sagoma che allude al deputato di Sinistra, Aboubakar Soumahoro (un uomo disegnato con stivali e giacca e cravatta, ma senza il volto) e a qualche indizio suggerito per trovare il candidato migliore alle primarie di sinistra, come «occhi di tigre, soldi dal Qatar e cane della Cirinnà».

Aspettando la chiusura affidata sabato a Giorgia Meloni - per la prima volta nella doppia veste di presidente del partito e premier - sul palco si avvicenderà quasi tutta la squadra di governo. Ma nel primo giorno, sono i politici (tra parlamentari e amministratori) ad affollare la platea. Non troppi i militanti o forse poco visibili (non ci sono bandiere né cartelli o striscioni) Anche la security è affidata a ragazzi con una generica maglia azzurra e la scritta "volontario". A parte l'attesa per il concerto di Cristina D'Avena in serata, e al centro di polemiche per la sua partecipazione a una festa di partito, è La Russa ad animare un pò la platea nel pomeriggio. La seconda carica dello Stato, intervistata da Bruno Vespa, non rinuncia a dire la sua su quasi tutto. «Se serviva qualcuno che dirigesse i lavori dell'aula bastava prendere un semaforo», osserva ironico. Quindi spazia dalle riforme (e assicura che la premier confida di arrivare a un nuovo modello costituzionale entro la fine della legislatura) al reddito di cittadinanza (per toglierlo a chi non ne ha diritto, insiste) fino al progetto di una mini naja, che caldeggia da tempo. Ma rivela che il suo obiettivo è arrivare a una forma di pacificazione nazionale che ancora manca: «Anziché confrontarsi sulle idee, ci si confronti sulla legittimazione ad avere idee», è l'auspicio. E se le prende con chi attacca un'idea solo «perché sei figlio o nipote di una storia, perché a casa ti hanno trovato una cosa, perché tuo cugino lontano l'abbiamo visto alzare un braccio... Ma insomma!», sbotta. Dopo di lui, arriva il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi ed è tutto un attacco alle ong per i soccorsi di migranti irregolari in mare, annunciando una stretta nei loro confronti. «Un governo che si rispetti deve ambire ad avere il governo dei fenomeni migratori», sentenzia, convinto di conseguenza che «non c'è bisogno ci siano tali organizzazioni». Parole che riecheggiano nella sala sotto una pioggia battente che cade sulla Capitale e che rallenta un pò la diretta streaming. Un dettaglio - la pioggia - che Francesco Lollobrigida collega a quel giorno del dicembre 2012 quando all'auditorium della Conciliazione di Roma maturò lo strappo di FdI: «Dieci anni fa pioveva come adesso e noi eravamo in pochi a seminare - ricorda l'attuale ministro dell'Agricoltura - Noi avevamo un buon seme ma un terreno in cui era difficile immaginare potesse ricrescere qualcosa, la destra era quasi scomparsa. Ma pioveva e quando piove qualcosa viene fuori».

 

 

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