Giorgetti: «Scostamento per aiutare imprese e famiglie. Dazi sulle materie prime»

Il ministro dello Sviluppo: "Presto potrebbero servire leggi eccezionali"

Giorgetti: «Scostamento per aiutare imprese e famiglie. Dazi sulle materie prime»
Giorgetti: «Scostamento per aiutare imprese e famiglie. Dazi sulle materie prime»
di Massimo Martinelli e Barbara Jerkov
Sabato 12 Marzo 2022, 07:03 - Ultimo agg. 13 Marzo, 20:27
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Ministro Giorgetti, a quali misure pensate per aiutare le aziende e le famiglie colpite dal caro energia e dall'acuirsi dello scontro Russia-Ucraina?
«Alcuni provvedimenti per ridurre l'impatto delle bollette sono già nel decreto all'esame del Parlamento, ma naturalmente questo non risolve il problema delle tensioni sui prodotti energetici che già esisteva e la guerra in Ucraina ha ulteriormente aggravato. Da un lato servono decisioni a livello europeo: si sta discutendo della possibilità di scollegare i prezzi dell'energia da quelli del gas, pensiamo solo che ci sono società che grazie all'aumento del gas stanno realizzando degli extra profitti. A livello nazionale dovremo immaginare altre forme di intervento, partendo da riduzioni della tassazione sulle diverse fonti energetiche».

Non c'è solo la carenza di gas ma anche di materie prime. Cosa intende fare il governo sul reperimento alcuni elementi strategici come il ferro?
«Alcune materie prime - la ghisa, per fare un esempio, o l'argilla per la ceramica - non arrivano più. In una situazione di guerra occorre anche immaginare provvedimenti totalmente eccezionali, leggi di guerra, se non vogliamo che si blocchino completamente alcune produzioni. Pochi lo sanno ma l'industria siderurgica italiana è una delle più evolute sotto il profilo ambientale, tantissimi sono forni elettrici che però necessitano del rottame per poter funzionare. Ebbene, in questo momento il rottame è richiestissimo dalla Cina, dalla Turchia, che ce lo portano via tutto a prezzi altissimi. Per questo dobbiamo valutare un divieto all'esportazione di questo materiale o quanto meno un disincentivo a farlo, altrimenti si blocca tutto. In una situazione eccezionale, lo ribadisco, occorrono risposte eccezionali».

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Rispetto alla sua richiesta di imporre dei dazi in uscita, ha avuto risposte dal governo?
«L'Italia deve farsi parte attiva a livello Ue perché sono decisioni che vengono adottate lì. Noi oggi abbiamo dazi all'importazione dell'acciaio, totalmente insensati. Dovremmo invece immaginare dazi alle esportazioni. La situazione si è completamente capovolta rispetto anche solo a sei mesi fa. E' la ragione per cui in Europa si sta discutendo di allentare le regole di bilancio e di consentire gli aiuti di Stato: tutte regole che andavano bene in un mondo diverso rispetto a quello che stiamo vivendo in questi giorni».

La crisi energetica legata alla guerra rischia di annullare la crescita del Pil prevista per quest'anno. Come pensa il governo di sostenere un debito che fatalmente crescerà in misura inversamente proporzionale?
«Questo non è più un timore ma una certezza.

Anche in questo caso le risposte non possono essere solo nazionali ma serve una reazione a livello europeo. Ad esempio con il Pnrr si è cominciato a immaginare lo strumento del debito comune europeo: credo sia il caso di valutarne l'estensione. Anche la discussione sulla necessità che l'Europa si doti di un suo apparato difensivo imporrà un nuovo passo sulla possibilità di fare debito comune e sopperire alle difficoltà di indebitarsi dei singoli paesi».

Ma c'è condivisione all'interno dell'Ue su questa svolta?
«Ovviamente c'è chi spinge, come l'Italia, e ci sono Paesi con una cultura del debito un po' diversa che si oppongono. Si è già verificato quando abbiamo discusso dei fondi del Pnrr, si verificherà anche questa volta».

Lei ha messo al lavoro una task force per sostenere le aziende italiane presenti in Russia, quali passi avete già compiuto?
«Stiamo incontrando le associazioni che le rappresentano. Non è soltanto un problema di sanzioni per le imprese che lavorano con la Russia, c'è anche un problema con l'Ucraina: da lì non entra né esce più nulla. E' un problema che riguarda anche chi ha rapporti solo indiretti. Senza contare la sorveglianza contro fenomeni di speculazione che inevitabilmente nei momenti di confusione
si creano».

Si è parlato di scostamento di bilancio per sostenere il caro bollette che sta mettendo a dura prova le filiere produttive. A quanto potrebbe ammontare?
«Questo è un problema che riguarda il governo nel suo complesso, in particolare il premier Draghi e il ministro Franco. Fino a questo momento hanno sempre sostenuto la necessità di dare messaggi rassicuranti: ma se la crisi continua, le ripercussioni economiche sono tali per cui per forza dovremo prendere in considerazione un intervento che permetta alle imprese di reggere l'urto. Tutto questo sta generando un fenomeno di tipo inflattivo, e l'aumento dei prezzi significa difficoltà per chi ha uno stipendio, una pensione: è un problema serio».

Quindi possiamo dire: scostamento necessario ma ancora da quantificare?
«Dovremo riflettere attentamente per quantificare il da farsi. E non solo nel settore industriale ma anche in quello agroalimentare: ci sono degli effetti pesanti sui cereali, sul grano. Dobbiamo sopperire andando a cercare altri mercati, ma inevitabilmente i prezzi salgono perché l'offerta è quella».

Cosa cambierà sulla nostra tavola, nel nostro paniere della spesa? Per quanto tempo dovremo modificare le nostre abitudini?
«Il problema non è che non si troveranno certi prodotti sugli scaffali, il problema sarà il prezzo. Per tornare alla normalità temo che ci vorrà un po' di tempo».

Lei ha evocato il ritorno dell'inflazione che rischia di innescare una pericolosa spirale prezzi-salari. Come pensa che si possa contenere il fenomeno?
«Negli anni 70 si sviluppò una dinamica che ha generato la famosa scala mobile con tutto ciò che ne è conseguito. Dovremo rieditare la famosa politica dei redditi? Io ho l'impressione che dovremo inventarci qualcosa di nuovo, ma sicuramente il problema del potere reale d'acquisto delle famiglie si pone. Ne stiamo discutendo, anche con i sindacati: tutto il sistema in questo momento deve collaborare per trovare una soluzione a una situazione totalmente inaspettata».

La parola indicizzazione è mai stata pronunciata ministro?
«Non è stata pronunciata perché tutti temono di riattivare spirali inflazionistiche. Il fatto però che l'inflazione sia tornata sul tavolo dopo tanti anni, lo ripeto, in qualche modo deve preoccuparci tutti».

Lei ha sostenuto la necessità di focalizzare l'attenzione e i fondi del Pnrr per costruire e ricostruire le fondamenta dell'economia. Pensa che il Pnrr possa essere ricalibrato? E in quale misura?
«Io penso che a chiunque in Europa chiedessimo oggi riscriveresti il Pnrr come l'hai scritto dieci mesi fa?, la risposta non potrebbe che essere: no. Nuove esigenze si sono manifestate platealmente. Una politica di difesa comune europea con la Nato è un tema che era stato accantonato ma che oggi è tornato prepotentemente di attualità, solo per fare un esempio. Due pilastri come la rivoluzione digitale e quella energetica ambientale rimangono attuali ma devono essere aggiornati. La stessa velocità della transizione green, in questo momento di emergenza, va ridiscussa. E siccome il Pnrr è nato con una tempistica precisa, mi sembra palesemente impossibile raggiungere alcuni dei goal che erano stati indicati. Penso a tutto il settore delle infrastrutture e delle opere pubbliche: con la lievitazione dei prezzi delle materie prime è impossibile rispettare certi tipi di obiettivi. Il mondo è totalmente cambiato, non possiamo rimanere fermi. Tante cose stanno cambiando in Europa, sul rigore di bilancio, sugli aiuti di Stato: inevitabilmente anche il Pnrr a tempo debito va ridiscusso».

Quindi l'Europa dovrà rivedere tempi e obiettivi?
«In Europa in tanti si pongono il problema, poi c'è chi è più colpito e chi meno. E' chiaro che l'Italia e la Germania, che dipendono per il 40-50% dal gas russo, sono più preoccupate rispetto ad altri».

Il programma del governo è di destinare alla transizione verso l'elettrico 700 milioni quest'anno e 1 miliardo l'anno fino al 2030. Lei diceva poc'anzi che la velocità della transizione green in questo momento di emergenza va ridiscussa. Come, ministro?
«E' chiaro che l'obiettivo resta la decarbonizzazione che ci siamo prefissi. Però dobbiamo sapere alcune cose e difendere alcune nostre eccellenze. Come ministero ci siamo battuti molto perché l'Europa non ha mai considerato i biocarburanti, su cui l'Italia ha un'eccellenza anche brevettuale invidiata in tutto il mondo, come fonte energetica compatibile. Mi sembra che finalmente si stiano aprendo degli spiragli. Questo vuol dire che le raffinerie che oggi raffinano il petrolio grezzo, un domani potrebbero sopravvivere - e non lasciare a casa 70mila dipendenti - lavorando i biocarburanti. Ma serve prima che l'Europa li ammetta come carburanti green».

Il premier Draghi ha reintrodotto, con determinazione, la possibilità di un ricorso all'energia nucleare. Come pensate di superare le opposizioni che certamente non mancheranno? E quanto tempo ci vorrà prima che venga messa in funzione la prima centrale?
«Non voglio avventurarmi in previsioni, dal momento che la tecnica può allungare o accorciare i tempi. Però sono assolutamente persuaso, ma ne è persuasa anche l'Europa che l'ha posto tra le fonti di energia rinnovabile, che il nucleare di nuova generazione vada preso in considerazione. Il nostro Paese in passato si è democraticamente espresso, magari anche emotivamente a ridosso di tragedie come quella di Chernobyl, però oggi la scienza ha fatto dei progressi ed è necessario proprio per avere quella autonomia strategica di cui parlavo prima, un mix adeguato di fonti tra cui appunto il nucleare».
 

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