Giorgia Meloni a Controcampo: «Il Pnrr con la guerra va ricontrattato. Sul gas serve cautela»

La presidente di FdI al Messaggero tv: oggi non reggeremmo lo stop alle forniture

Giorga Meloni: «Vanno ricontrattate le priorità del Pnrr. Sul gas serve cautela»
Giorga Meloni: «Vanno ricontrattate le priorità del Pnrr. Sul gas serve cautela»
di Massimo Martinelli e Barbara Jerkov
Giovedì 24 Marzo 2022, 00:17 - Ultimo agg. 12:29
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La guerra in Ucraina è entrata a Montecitorio con l’intervento di Zelensky. Che impressione le ha fatto sentir parlare il leader ucraino, presidente Meloni?

«Mi ha dato l’impressione di una persona estremamente lucida, di un leader europeo. E’ riuscito a parlare al cuore dei valori comuni. Un’immagine diversa rispetto a quella che magari alcuni avevano di lui prima di questo conflitto, sbrigativamente giudicato per il suo passato di comico, forse anche vista la nostra esperienza politica con gli ex comici. Difende con coraggio e dignità la sovranità della sua nazione e lo fa anche per noi: l’aggressione all’Ucraina è un attacco all’Europa, ed è la ragione per cui FdI si è schierato dall’inizio senza titubanze».

C’è chi dice in Europa che le sanzioni economiche non bastano a fermare la guerra, Zelensky invoca una no fly zone ma il timore occidentale è che questa porterebbe a un coinvolgimento della Nato nel confitto. Lei come la vede?

«Intanto, impossibile avere certezze su questi temi, dobbiamo essere tutti molto prudenti. Non possiamo non sapere che le potenze che si stanno affrontando sono potenze nucleari. Questo vuol dire sostenere l’Ucraina con tutto ciò che la comunità internazionale può fare, e però porsi il problema di evitare il rischio di un’escalation. Le sanzioni sono forse l’arma più impattante che la comunità internazionale ha, e noi per questo le abbiamo sostenuto anche se avanzando delle richieste».

Di che genere di richieste parla?

«Con una risoluzione, FdI ha chiesto la salvaguardia dei contratti in essere delle aziende italiane. Perché una cosa è non poter più commercializzare con la Russia, altro è avere dei contratti stipulati un anno fa e adesso non poter consegnare, avendo fatto magari degli investimenti sulla base di quei contratti. Al netto di questo le sanzioni sono, lo ribadisco, lo strumento più impattante che abbiamo. Quanto all’invio di armi, ricordo l’insegnamento dei latini: si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra. Immaginare che una resa dell’Ucraina, come alcuni dicono, sarebbe un volano di pace, è un’illusione. Se l’Ucraina cadesse, per l’Occidente si configurerebbe un effetto domino, nessuno sarebbe più al sicuro. Non siamo guerrafondai ma capiamo quello che c’è in ballo: i valori della nostra civiltà».

Si parla molto in queste ore della necessità di una vera, efficace difesa comune europea. Lei sarebbe d’accordo?

«Vengo da una cultura politica che ha sempre rivendicato l’esercito europeo.

Oggi le nostre forze armate sono pienamente integrate nella Nato e semmai si dovrebbe ragionare di una colonna europea della Nato, perché non sempre gli interessi statunitensi coincidono con quelli dell’Europa. Ciò premesso, difesa comune Ue? Gli eserciti esistono quando esiste una politica estera. Il problema è che l’Europa non ce l’ha, lo abbiamo visto anche sulla vicenda ucraina. E poi siamo sicuri che se si facesse l’esercito europeo, i singoli Paesi sarebbero disposti a metterci le risorse che servono? FdI è stato l’unico partito in Italia ad aver il coraggio di dire una cosa impopolare, e cioè che se vuoi contare nello scenario geopolitico devi investire nella difesa. Invece non c’è quasi nessuno in Europa, a partire dall’Italia, che rispetti il parametro fissato dalla Nato del 2% del pil per gli armamenti».

L’Italia, secondo il Pentagono, avrebbe la capacità di fornire aiuti militari di dimensioni «cinque-sei volte maggiori» di quelli finora accordati a Kiev e dovrebbe fare di più. Sarebbe d’accordo?

«Sono d’accordo che l’Italia sostenga l’Ucraina in ogni modo: l’Italia non si deve discostare dalla comunità internazionale, quello che serve va fatto. Al Pentagono vorrei però dire, parafrasando proprio un loro presidente: oltre a chiedersi cosa l’Italia può fare per l’Ucraina, ci chiediamo cosa possono fare gli Usa per l’Europa. Noi la guerra ce l’abbiamo in casa, pagheremo le sanzioni più di loro e chiediamo sostegno. Non lo deve fare solo l’Ue ma anche l’occidente».

Lei con chi si schiera, sul fronte economico: con chi dice che non ha senso fare le cose a metà, e bisognerebbe chiudere anche le importazioni di gas dalla Russia, o suggerisce maggiore cautela?

«Sono anni che pongo il tema di un’Italia che dipende troppo sul piano energetico dall’estero. Non abbiamo fatto una politica di diversificazione energetica né di maggiore capacità di produzione, e qui potremmo parlare per ore di un ambientalismo lunare rispetto alla realtà dei fatti. Tra sanzioni, caro energia, assenza di materie prime, scarsità di prodotti agricoli, io credo che l’Italia non sia in grado di reggere oggi la chiusura dei rubinetti di approvvigionamento. Con condizioni diverse, se ci fosse cioè una copertura dei problemi che l’Italia avrebbe da una sanzione applicata anche al gas, sono dispostissima ad ascoltare, ma chi paga? Vogliamo aiutare l’Ucraina ma dobbiamo capire il limite oltre il quale non reggiamo». 

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Confindustria ha giudicato insufficienti le misure varate dal governo a sostegno di famiglie e imprese travolte dal caro bollette. Secondo lei?

«Anche. Bonomi ha assolutamente ragione, tutte le associazioni produttive oggi concordano che il problema sia affrontato in maniera irrisoria dal punto di vista delle risorse. Io penso che una cosa che si potrebbe fare oggi è rivedere le priorità del Pnrr. Non possiamo oggettivamente fare finta che non stia cambiando il mondo. Se guardo oggi agli obiettivi che l’Ue dava con il Recovery, per esempio sul tema del Green Deal, e mi confronto con Draghi che viene a dirci che dobbiamo riaprire le centrali a carbone, c’è qualcosa di distonico. Il governo italiano dovrebbe andare in Europa a rinegoziare le priorità del Pnrr, adattandole al contesto mutato. E se esiste un’Europa solidale, come dicono, non dovrebbe avere difficoltà ad accogliere queste modifiche. Così ci sarebbero più risorse da destinare all’emergenza: l’alternativa è lo scostamento di bilancio, che però sono pur sempre debiti che si continuano ad accumulare».

Il premier Draghi le ha pubblicamente dato atto di non aver tentennato neppure un attimo nello schierare FdI con le forze atlantiste contro l’aggressione russa. Un atteggiamento che potrebbe avere un seguito sul piano dei rapporti tra voi e il governo?

«No, assolutamente no. La nostra opposizione a questo governo è netta, totale e convinta. Il punto è che noi l’opposizione la facciamo al governo, non all’Italia. Io, che mi considero una patriota, distinguo sempre la materia della politica interna da quella internazionale. Credo che il governo Draghi non stia facendo bene praticamente su nulla. Ciò non toglie che abbiamo bisogno di un’Italia forte sulla scena internazionale. Quando Draghi va all’estero rappresenta anche me perché rappresenta l’Italia, anche se fino ad oggi non ho visto una centralità del nostro premier né tutta questa grande capacità di difendere gli interessi italiani». 

Venendo alla politica interna, presidente. Salvini è stato invitato al non-matrimonio di Berlusconi, dove il Cavaliere lo ha addirittura definito “l’unico vero leader che c’è in Italia”, e lei no. Dica la verità: c’è rimasta male?

«Rimasta male? Di non esser stata invitata no, sapevo essere un evento riservato ai familiari ed evidentemente Salvini fa parte degli affetti più stretti. Quanto alla frase detta a Salvini, invece, quella sicuramente mi ha incuriosito, l’ho trovata... particolare. Dopodiché penso sempre che i leader non si decidono a tavolino, ringraziando iddio li decidono gli italiani quando hanno la possibilità di farlo. Quindi quella frase non me la sarei aspettata, ma non cambia molti rispetto al destino». 

Nel centrodestra, dopo la vicenda del Quirinale, l’impressione è che l’alleanza stenti a rimettersi in sesto. Penso alla proposta di riforma in senso presidenziale che sta discutendo la Camera, ma su cui FI e Lega non hanno mostrato grande sostegno. Qual è lo stato di salute della coalizione, presidente?

«Non ottimo perché le cose mi paiono chiare nei fatti. Io continuo a chiedere chiarezza. Voglio un centrodestra orgoglioso, che difenda le idee per cui è stato votato, che non si consideri presentabile solo se governa con la sinistra. Il presidenzialismo mi ha fatto molto arrabbiare. Quella riforma è da sempre una delle grandi idee che tengono insieme il centrodestra, è la madre di tutte le riforme. Io l’ho portata in aula, disposta a dialogare. La sinistra arriva con un emendamento soppressivo che passa per due voti, e in commissione mancano due esponenti del centrodestra. E allora mi arrabbio. Magari è solo superficialità, non è una scelta politica. Ma se non riusciamo nemmeno sulle battaglie storiche a dare un segnale, allora c’è un problema. Nella migliore delle ipotesi si è disinteressati alle battaglie comuni. E se mettiamo insieme il tema del catasto, quello della Bolkenstein, non mi pare che le politiche di centrodestra da parte di altri si difendano con la stessa fermezza con cui le difendiamo noi».

Insomma, il centrodestra a questo punto c’è ancora? Alle amministrative di primavera FdI potrebbe correre contro i candidati di Lega e FI?

«Non va chiesto a me. Io sempre nel centrodestra sono rimasta. Siamo sempre stati leali e chiari, oggi sono io che chiedo chiarezza agli altri. Sulle elezioni amministrative, sosteniamo lealmente tutti i sindaci uscenti di centrodestra, non così gli altri. Ancora aspetto l’ok di FI sulla ricandidatura del sindaco di Verona, Sboarina, che è un esponente di FdI. E aspetto di capire la posizione di Lega e FI sulla ricandidatura del presidente della Regione Sicilia, Musumeci, anche lui vicino a FdI. Quello a cui non so rispondere io oggi, in tutta franchezza, è se per Lega e FI sia prioritario far vincere il centrodestra o mettere un freno a FdI».
 

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