Conte bacchetta Di Maio. E lui: «Fa asse con il Pd?»

Conte bacchetta Di Maio. E lui: «Fa asse con il Pd?»
di Simone Canettieri
Sabato 14 Dicembre 2019, 07:57 - Ultimo agg. 12:55
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Il teatro dei sospetti e dei veleni nel triangolo Pd-Palazzo Chigi-M5S si arricchisce di una nuova puntata. A far saltare i nervi di Luigi Di Maio - che ufficialmente non commenta - sono una serie di frasi del premier Giuseppe Conte. La prima: «Il Pd mostra maggiora compattezza e unitarietà - dice ospite di Accordi e disaccordi - una posizione la tiene nel tempo, nel M5S è sottoposta a maggiori fibrillazioni». Poi c'è un secondo affondo che Conte infila ed è quello che dà più fastidio a Luigi Di Maio: «Gli ho detto che bisogna dare segnali di rinnovamento intorno al Movimento, e lui mi pare che voglia condividere le responsabilità». È la prima parte quella più indigesta al ministro degli Esteri. I suoi uomini quando leggono le agenzie lo fanno presente a Palazzo Chigi. Al punto che Conte, a margine della trasmissione, è costretto a specificare il suo pensiero per non infilarsi in un frontale con il capo dei 5 Stelle: «Luigi sta già ampliando la collegialità con la riforma dei facilitatori». E cioè la riorganizzazione del partito che sarà presentata domani.

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IL SENSO
Ma questi segnali servono ai vertici pentastellati per dare un senso alla giornata. Iniziata con l'appello di Nicola Zingaretti, leader del Pd, proprio a Conte «affinché guidi la cordata» per questa scalata. Parole che fanno suonare mille campanelli nella testa del titolare della Farnesina, preoccupato per un possibile asse tra il Pd e Conte, già molto sensibilizzato dal Nazareno proprio sul tema del Mes, il fondo Salva Stati. E dunque sospetti e veleni, si diceva. Di nuovo. Che si palesano di sera quando Conte convoca un consiglio dei ministri ad hoc sulla Popolare di Bari, con Di Maio in Calabria per presentare il candidato governatore Francesco Aiello. Da Catanzaro c'è lo stop del capo politico M5S: «No a un decreto salva-banchieri».
Il clima, in piena manovra, rimane incandescente. Anche perché i postumi dello strappo di tre senatori grillini verso la Lega (Urraro, Lucidi e Grassi) si fanno sentire. Il braccio destro di Di Maio, Dario De Falco accusa i «traditori» a vario titolo: tra chi non voleva restituire lo stipendio, chi ha usato un pretesto per andarsene e chi era deluso per non essersi fatto un selfie con Luigi, sarebbe il caso di Lucidi durante la campagna elettorale in Umbria. La psicosi dell'abbandono c'è, eccome. La senatrice Angela Piarulli, in odor di Carroccio, è costretta a smentire: «Non vado in altri gruppi». Il collega Luigi Di Marzio, medico napoletano, continua a subire il pressing dei vertici: «Non andare nel misto».
Intanto, carsicamente si muovono le truppe di Paolo Romani, pronto a formare un gruppo di 12. E volendo con il simbolo già depositato di Gaetano Quagliariello, titolare di Idea. Che dice: «Ma la nostra non deve essere un'operazione di Palazzo, se è così mi fermo subito. Siamo un'area liberal-cristiana che vuole strutturarsi nel territorio». Ma la durata del governo fa gola a molti. Anche se incombe il referendum sul taglio dei parlamentari che riaprirebbe la finestra elettorale. Dalla fondazione Einaudi si dicono a buon punto: «Mancano solo dieci firme di parlamentari». Di sicuro c'è Conte che non molla: «In un domani non mi vedo disinteressato alla politica, ma ci sono tanti modi di farla». Chissà cosa ne pensa Di Maio...

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