Prove di governo con premier terzo: no a Conte bis, ipotesi di una donna

Luigi Di Maio
Luigi Di Maio
di Alberto Gentili
Venerdì 23 Agosto 2019, 07:18 - Ultimo agg. 10:47
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Resta lontano l'accordo sul nome del premier. E latita l'intesa sui ministri e sul programma. Ma in barba all'ambiguità di Luigi Di Maio e alle frenate di Nicola Zingaretti, 5Stelle e Pd trattano. Tra docce gelate, sgarbi e veleni, lavorano al governo di legislatura con quella maggioranza «solida, chiara e duratura» chiesta da Sergio Mattarella. Ma il leader dem ieri notte, dopo una telefonata con il capo M5S, si mostrava ancora sospettoso: «Ci provo come ho promesso, ma mi chiedo se davvero Di Maio ha definitivamente chiuso con Salvini...».

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Per scoprirlo c'è tempo fino a mercoledì, quando Pd, Lega, 5Stelle torneranno al Quirinale. Di certo, c'è che la svolta è avvenuta solo alle otto di sera, quando i parlamentari grillini hanno imposto al capo politico del Movimento e ai capigruppo Stefano Patuanelli e Francesco D'Uva, di andare a trattare con il Pd. E già avanza, come ipotesi più forte per palazzo Chigi, quella di un premier terzo gradito a entrambi i partiti. Probabilmente una donna. Si capirà meglio oggi, dopo il primo incontro ufficiale tra le due delegazioni, previsto nel pomeriggio.
 



LE FORZE DEL SÌ
Insomma, a dispetto della tentazione di Di Maio di rigettarsi tra le braccia di Matteo Salvini (che era tornato ad aprire il suo forno perfino al Quirinale) e alla voglia di elezioni del segretario dem, prevale la linea dettata da Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Roberto Fico e dai gruppi parlamentari grillini da una parte. E da Matteo Renzi, Dario Franceschini, Graziano Delrio e dai padri fondatori del Pd, Romano Prodi in testa, dall'altra. «Però è evidente che Di Maio deve superare la sua ambiguità, se lascia aperti i due forni, la partita neppure la giochiamo», diceva un esponente dem che conduce la trattativa, prima della svolta serale dei 5Stelle annunciata da Patuanelli agli onorevoli pentastellati: «Vi chiediamo mandato a incontrare la delegazione del Pd per parlare per prima cosa del taglio dei parlamentari».

Proprio su questo scoglio, in mattinata, la trattativa sembrava a un passo dal naufragio. Zingaretti, dove sul Colle aveva parlato di «forte discontinuità politica e programmatica», scandendo di fatto un altro no secco a un bis di Giuseppe Conte (la prima scelta dei 5Stelle), aveva poi fatto trapelare tre punti in grado di far saltare la trattativa: no al taglio dei parlamentari (appunto), colpo di spugna sui decreti sicurezza di Salvini e intesa di massima sulla legge di bilancio entro domenica. Il tutto «per non avere sorprese», secondo il segretario dem. «Un modo per far saltare tutto, Nicola se ne assumerà la responsabilità», aveva ringhiato invece Renzi.

Tant'è, che era dovuto scendere in campo il pontiere Graziano Delrio: «Non c'è alcun no al taglio dei parlamentari, vogliamo solo inserirlo in una riforma costituzionale organica che comprenda anche la legge elettorale. Intendiamo fondare su un basi solide il governo di svolta».

Di Maio però non l'aveva presa bene. «E' inammissibile, vuoi ancora le elezioni e poni condizioni inaccettabili», ha ringhiato al telefono a Zingaretti. Così, a metà pomeriggio, è stato volutamente ambiguo: uscendo dal colloquio con Mattarella non ha mai attaccato Salvini, che poco prima aveva proposto al Presidente di mettere il leader grillino al posto di Conte a palazzo Chigi.

E si è limitato ad annunciare di aver avviato «tutte le interlocuzioni necessarie per avere una maggioranza solida». Senza dire con chi. Eppure, Renzi ha subito fatto trapelare il suo ottimismo: «Alla fine il governo si fa». Nell'entourage di Zingaretti invece è prevalsa l'irritazione: «Di Maio è stato ambiguo, non ha nominato il Pd e non ha escluso di tornare con Salvini. Così non si va avanti». Dai 5Stelle è però arrivato qualche segnale di incoraggiamento: «Luigi, prima della frenata del Nazareno sul taglio dei parlamentari, stava trattando seriamente con il Pd. Probabilmente è rimasto ambiguo perché il doppio forno offertogli dalla Lega gli permette di andare con più forza alla trattativa con i Dem, facendogli abbassare le pretese».

Di certo, c'è che resta il no di Zingaretti (ma non di Renzi, Delrio e Franceschini) a Conte. «Se Di Maio entrerà nel governo, come vuole e pretende, non ci potrà essere anche il premier uscente», è l'aut aut del leader Pd. E se resta la disponibilità dei dem a lasciare ai grillini (forti del 34% del Parlamento) l'indicazione del premier, con ogni probabilità si finirà su un presidente del Consiglio «autorevole e terzo». Le ipotesi: era circolata come ballon d'essai Marta Cartabia, appare più probabile il nome autorevole di Paola Severino, ex ministro della Giustizia. Ma c'è chi insiste su Cantone, Cassese e soprattutto Giovannini. Roberto Fico, l'opzione più gradita al Nazareno, si è chiamato fuori.

I MINISTRI
In serata, chiuso almeno per il momento il confronto 5Stelle e Lega, è ripreso il lavoro sulla squadra. A dispetto del forte rinnovamento sollecitato da Zingaretti, Di Maio resterà ministro, probabilmente al Viminale. E con lui entreranno Delrio o Franceschini. Più nuovi come Paola De Micheli, Antonio Misiani e un paio di renziani scelti dalla rosa di nomi fatta trapelare dall'ex premier come «prova di lealtà»: Rosato, Marattin, Guerini, Nannicini. Tra i grillini, che vorrebbero confermare Bonafede e Fraccaro, dovrebbero entrare Ruocco, Morra e soprattutto esponenti dell'ala sinistra del Movimento vicina a Fico.
 

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