Da una parte l'allerta di Giorgia Meloni: chi attacca noi, «nuoce all'Italia». Dall'altra il programma unitario che prende vita. Il centrodestra si affaccia sull'uscio di Palazzo Chigi. La partita è ancora da giocare e la scadenza sulle liste si avvicina, ma la testa è già al governo.
Giorgia Meloni medita l'ultimo strappo: via la fiamma dal logo del partito
IL PROGRAMMA
Il programma è il risultato di una trattativa al millimetro. Generico quanto basta sui punti più divisivi. Numeri e stime appaiono qua e là, con il contagocce. Sulla flat tax c'è l'intesa. Non sulle aliquote - la Lega voleva il 15%, Forza Italia il 23%, si vedrà - ma sulla sostanza sì. C'è infatti l'«estensione della flat tax per le partite Iva fino a 100.000 euro di fatturato» e l'impegno di introdurre una tassa piatta «sull'incremento di reddito rispetto alle annualità precedenti, con la prospettiva di ulteriore ampliamento per famiglie e imprese».
LA STRATEGIA
La leader di Fdi, intanto, lancia un messaggio all'estero. «Se vince Fdi l'Italia non crolla in un buco nero. La propaganda della sinistra ci danneggia: non c'è il 25% dei pazzi che vota per noi, siamo una democrazia come le altre», ha tuonato ieri in radio. Dal quartier generale di Via della Scrofa il traguardo del 25 settembre ora appare vicino. Perfino troppo. Con la partita degli uninominali che un po' assomiglia a una vittoria a tavolino per la coalizione conservatrice e il vento in poppa nei sondaggi a far paura è il dopo-voto. Quello su cui sono puntati i riflettori dei giornali internazionali, per nulla clementi con la pattuglia meloniana. Di qui la controffensiva. La preoccupazione è palpabile in quel lavorio della leader e di alcuni dei suoi fedelissimi - Carlo Fidanza e Raffaele Fitto in Europa, Andrea Delmastro e Guido Crosetto sulla sponda Usa - per raccontare all'estero un altro partito. Come a dire: non solo il Pd, anche Fdi saprà diventare un partito-Paese, che conosce le regole del gioco e le applica. Ecco allora le rassicurazioni ai mercati con quell'inciso sulle regole di bilancio europee, «vanno rispettate e Fdi è garanzia che questo accada», ha chiarito Meloni. Dunque il video in tre lingue francese, inglese, spagnolo per scacciare il fantasma delle nostalgie nere, «condanno senza ambiguità la dittatura e le leggi razziali». Basterà? Si vedrà. Ma l'equazione fra Fdi e Paese scandita ieri dalla leader è il segno che lo sguardo è già rivolto al governo che sarà.
IL NODO SICILIA
Non che in campagna elettorale tutto fili liscio. Sugli allori del centrodestra coccolato dai sondaggi, ad esempio, è atterrata la tegola Sicilia. Le dimissioni a sorpresa del governatore uscente in quota Fdi Nello Musumeci non sono bastate a frenare le tensioni tra alleati, con Lega e Fi a difendere la candidatura dell'azzurra Stefania Prestigiacomo. Un incidente che da dentro Fdi si affrettano a derubricare come «locale». «Se i sondaggi dicono il vero, stiamo vincendo la partita 3 a 0 - riflette un dirigente vicino a Meloni - e quando vinci così, devi palleggiare fino ai tre fischi finali».