Meloni e Salvini, quel solco sempre più profondo tra i due. Il nodo della premiership alle radici dello scontro

Meloni e Salvini, quel solco sempre più profondo tra i due. Il nodo della premiership alle radici dello scontro
Meloni e Salvini, quel solco sempre più profondo tra i due. Il nodo della premiership alle radici dello scontro
di Alberto Gentili
Sabato 30 Aprile 2022, 18:55 - Ultimo agg. 1 Maggio, 16:34
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Dopo aver fatto sapere venerdì che Matteo Salvini sarebbe stato “indesiderato” alla conferenza di Fratelli d’Italia di Milano, Giorgia Meloni prova a stemperare i toni: «Se passasse sarei contenta. Secondo me sarebbe anche carino se Salvini venisse a salutare». In realtà tra la leader di FdI e il capo della Lega ormai il solco è profondo. E le ragioni sono tante.

Lo scontro sulle candidature

La prima, la più vistosa e deflagrante, è l’incapacità del centrodestra di raggiungere intese su candidati unitari in vista delle elezioni amministrative.

Meloni spinge per la ricandidatura a governatore della Sicilia di Nello Musumeci al voto in programma in autunno. La Lega e Forza Italia invece puntano su altri nomi. Lo stesso accade, in vista delle elezioni comunali del 12 giugno, per i candidati a sindaco di Messina e Palermo: qui il centrodestra marcia in ordine sparso. Lacerato. E non solo in Sicilia: FdI sta procedendo da sola anche a Parma, Viterbo, Catanzaro, Jesolo.

La strategia

Ma a dividere Meloni da Salvini è anche e soprattutto altro. Forte dei sondaggi che danno FdI primo partito appaiato al Pd, ha deciso di puntare a palazzo Chigi calpestando le ambizioni del capo leghista. Insomma, Meloni vuole per sé la premiership del centrodestra. E l’ha detto chiaro, in vista delle elezioni politiche che dovrebbero svolgersi al più tardi nella prossima primavera, alla conferenza programmatica di Milano: «Ci faremo trovare pronti. Abbiamo le idee e gli uomini giusti. È arrivato il nostro tempo». Non solo. La Meloni rivendica il merito di essere la prima «in mezzo a una tempesta a indicare la rotta», spinge sulla credibilità del suo partito e si rilancia appunto alla guida del prossimo governo: «Trasformeremo questa epoca infame in un nuovo Risorgimento italiano».

La metamorfosi

Per raggiungere l’obiettivo di governare l’Italia, Meloni in più volta le spalle ai nostalgici del fascismo: «I saluti romani? Sono antistorici». Non ha seguito Salvini quando il capo della Lega ha confermato il sostegno a Marine Le Pen: «Non ci rappresenta». E si riscopre atlantista, ma senza eccedere. Tant’è, che sempre da Milano, la leader di FdI ha lanciato un avvertimento a Joe Biden sulla guerra in Ucraina: «Al presidente americano dico che non saremo i muli da soma dell’Occidente. Noi pagheremo un prezzo superiore alla crisi, serve un fondo di compensazione». Infine, per chiudere il cerchio, ammorbidisce e quasi archivia il sovranismo sposando nel ruolo di nuovo leader conservatore, la dottrina europea definendosi «molto più europeista dei Soloni di Bruxelles».

Il nodo della coabitazione

A questo punto la scelta del futuro del centrodestra è in qualche modo nella mani di Salvini. Se il capo della Lega si accontenterà di fare il gregario della Meloni, la coalizione che in base ai sondaggi ha il maggior gradimento tra gli italiani, andrà a palazzo Chigi dopo le elezioni politiche. E il posto di Mario Draghi sarà preso dalla Meloni, con Salvini magari nel ruolo di vicepremier e di ministro dell’Interno (l’antica passione). Se invece il capo della Lega non accetterà di decedere lo scettro alla leader di FdI, il centrodestra imploderà. Ma sarebbe un harakiri collettivo. La politica insegna che pur di avere una fetta di potere, spesso chi si sognava re alla fine si accontenta di entrare nella corte della regina. Di tempo per capire come finirà ce n’è ancora molto.

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