Giorgia Meloni e il nodo accise: «Con i soldi spesi finora si abbatteva il cuneo fiscale. Interventi se aumenta l’Iva»

«I fondi stanziati dal governo Draghi valevano 200 euro a lavoratore». L’apertura ai benzinai: «Mai parlato di speculazioni»

Meloni al Tg1: «Lavoriamo per dare priorità alla crescita, la maggioranza è coesa»
Meloni al Tg1: «Lavoriamo per dare priorità alla crescita, la maggioranza è coesa»
di Andrea Bulleri e Giusy Franzese
Giovedì 12 Gennaio 2023, 20:03 - Ultimo agg. 13 Gennaio, 08:46
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«Con i soldi che avremmo speso per tagliare le accise per quattro mesi, abbiamo tagliato il costo del lavoro di un punto per un intero anno» Nessun passo indietro, nessuno «scaricabarile» sulle spalle dei gestori delle stazioni di servizio. Giorgia Meloni tira dritto. E nonostante le polemiche delle opposizioni e l’annunciato sciopero dei benzinai, rivendica la linea dell’esecutivo sul fronte carburanti. Non ci sarà un nuovo sconto al prezzo di verde e gasolio, non in questa fase, torna a mettere in chiaro il premier, prendendo la parola in due diverse interviste che vanno in onda in contemporanea al Tg1 e al Tg5 delle 20. 

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«SCARICABARILE»

Il governo, spiega il presidente del Consiglio, non ha alcuna volontà di fare «scaricabarile» sui gestori degli impianti di rifornimento: «Io, anzi, ribadisco che la gran parte dei benzinai si sta comportando con grande responsabilità. Ed è proprio a loro tutela – aggiunge Meloni – che bisogna individuare chi non dovesse avere la stessa responsabilità», chi insomma potrebbe aver approfittato della mancata proroga dello sconto sul carburante varato dal governo Draghi (quando però la verde aveva abbondantemente superato i 2 euro al litro) ritoccando i prezzi al rialzo. «Con i soldi spesi dal precedente governo in nove mesi per tagliare le accise – rileva il premier – si sarebbero potute abbassare le imposte sul lavoro di circa 7 punti. Il che avrebbe voluto dire mettere in tasca fino a 200 euro in più ai lavoratori con redditi inferiori a 35mila euro», afferma. 
Sente il bisogno di sgombrare il campo dagli equivoci, Meloni. Perché «le opposizioni fanno il loro lavoro», ma «sento dire che la benzina oggi è a 2 euro e mezzo al litro, invece sta a 1,8 come prezzo medio», osserva il capo del governo. Che difende le scelte fatte con la legge di Bilancio: «Tolti i 20 miliardi destinati a mettere in sicurezza famiglie e imprese dal caro-bollette, ce ne restavano dieci», ricorda. «Di fronte avevamo due strade: tagliare le accise per tutti, anche per i ricchi, oppure concentrare quelle risorse sul taglio del costo del lavoro, sulla decontribuzione per i neo-assunti. Abbiamo fatto questa seconda scelta».
Poi torna sugli attacchi delle opposizioni, in particolare di chi la accusa di «incoerenza» per aver promesso una minore tassazione sulla benzina in campagna elettorale. «Nel programma non c’è scritto» così, avverte, «si parla di sterilizzazione» delle accise, «ovvero: se il prezzo del carburante sale oltre una determinata soglia, quello che lo Stato incassa in più di Iva verrà utilizzato per abbassare il prezzo stesso del carburante. È ciò che si sta facendo anche con questo decreto», cioè con il provvedimento varato nei giorni scorsi per allontanare il rischio speculazioni. «L’opposizione ritenti», conclude Meloni. 
È la stessa precisazione che aveva portato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a dire, durante il question time del primo pomeriggio al Senato, che sì, in caso di aumenti il governo sarebbe stato pronto a intervenire sulle accise.

Parole che a qualcuno avevano fatto pensare a una volontà di andare incontro ai partner di governo, Forza Italia e Lega in primis, che nei giorni scorsi avevano sollecitato interventi sul capitolo carburanti. In realtà il messaggio era di fatto lo stesso ribadito da Meloni ai tg della sera. Ossia: qualora il prezzo della benzina dovesse davvero subire un’impennata, le maggiori entrate Iva finanzierebbero un taglio alle accise. Un meccanismo già contenuto nelle disposizioni dei comma 290 e 291 della legge 244 del 2007, alle quali fa riferimento il “decreto benzina” varato da Palazzo Chigi il 10 gennaio. La norma prevede che qualora il prezzo internazionale del greggio sia tale da generare «maggiori entrate Iva», e qualora il costo finale alla pompa nel quadrimestre sia più alto del 2% rispetto alla media indicata nel Documento di economia e finanza (90 euro), possa scattare il taglio. Due requisiti che in questo momento però non si vedono all’orizzonte (le quotazioni di ieri del Brent, seppur in risalita, erano a 84 dollari al barile).

 

 

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LE ALTRE PARTITE

Ma il capitolo benzina non è l’unico toccato ieri da Meloni. «Nell’ultimo decreto – aggiunge infatti il premier – c’è una norma che rimborsa i pendolari della somma che spendono per gli abbonamenti ai mezzi pubblici. Stiamo cercando di aiutare chi è in difficoltà, invece di dare aiuti indistintamente a tutti». Potrebbe trattarsi del rifinanziamento del bonus da 60 euro scaduto a novembre, anche se non si esclude una riformulazione con qualche modifica. Infine un passaggio sul Mes, i cui vertici (il lussemburghese Pierre Gramegna e l’italiano Nicola Giammarioli) sono stati ieri ricevuti a Palazzo Chigi. Il premier ha auspicato la possibilità di verificare «possibili correttivi» per il Meccanismo europeo di stabilità, spiega una nota del governo, e ha sottolineato «l’anomalia di uno strumento economico-finanziario che, pur disponendo di ingenti risorse, non viene utilizzato da lungo tempo dagli Stati aderenti, nonostante la difficile congiuntura economica nella quale si trovano». Qualcosa, insomma, forse non funziona.

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